“Da sempre l’uomo ha dovuto combattere con le proprie paure. La paura è un’emozione fondamentale per l’adattamento all’ambiente circostante; senza una dose di paura naturale non si sopravvive perché questa rappresenta un’allarme che permette di fronteggiare le situazioni rischiose”. Lo dice a In Terris la dott.ssa Susanna Cirone, psicologa psicoterapeuta e formatrice e ricercatrice ufficiale del Centro di Terapia Strategica diretto dal Prof. Giorgio Nardone.
La paura accompagna l’uomo dall’inizio dei tempi: è un’emozione primaria che ha aiutato il Sapiens a sopravvivere, ieri come oggi, ai pericoli e alle avversità. E non conta che il pericolo sia un leone della savana (come 200mila anni fa) o un virus venuto dall’oriente, come accade oggi. “I centri nervosi deputati alle reazioni emozionali, ovvero la mente più arcaica e primitiva, di fronte ad un pericolo, scatenano quelle reazioni immediate che spesso salvano la vita; si tratta, quindi, di un dispositivo sano e naturale che sarebbe decisamente pericoloso non possedere”, spiega la psicologa. A volte, però, evidenzia, la paura da sana si trasforma in patologia. “Accettare la paura non significa subirla, ma imparare ad utilizzarla. In altri termini, mentre la paura intesa come emozione naturale è un utile risorsa in grado di aumentare la nostra capacità gestionale, se diventa eccessiva, perché mal gestita, diventa un ostacolo e crea un ‘blocco‘. Ad esempio, gli atleti che praticano gli sport estremi sono comunemente considerate persone temerarie ma, in realtà, tutti loro dichiarano di conoscere bene la paura e, soprattutto, di nutrire un profondo rispetto per le proprie sensazioni di paura, atteggiamento questo che ha permesso loro di superare il limite. Ne consegue che, se accettate, le paure da debolezze si trasformano in punti di forza; se negate, colgono alla sprovvista e aprono la strada a possibili patologie quali le fobie o gli attacchi di panico”.
E’ possibile individuare alcune modalità comportamentali che, messe in atto di fronte ad una situazione di paura, possono rappresentare il primo passo verso lo strutturarsi di patologie.
Ed è così, quindi, che se si impara a gestire le proprie incapacità momentanee, i limiti si trasformano in grandi punti di forza e la paura – se guardata in faccia – diventa coraggio. Ma cosa succede quando la paura è “troppo poca”? Gli assembramenti incauti di giovani e meno giovani nei vari luoghi di ritrovo, anche al chiuso; la movida denunciata da più sindaci delle grandi città del Nord e non solo; le manifestazioni di piazza avvenute nei giorni scorsi…centinaia di persone che non rispettavano né il distanziamento sociale né l’utilizzo di mascherine nonostante le direttive per non creare una seconda ondata di ritorno del coronavirus. Una malattia che la scienza conosce ancora troppo poco e che ha causato la morte di oltre 33mila persone solo in Italia e di almeno altre 375mila nel mondo, secondo gli ultimi dati della Johns Hopkins University. In questi giorni di apertura quasi totale – oggi riprendono gli spostamenti tra Regioni diverse – è possibile osservare nella società due estremizzazioni: coloro che – abbracciando la linea di ‘rinomati’ medici – vivono come se il coronavirus non esistesse più; e coloro che hanno troppa paura e sono in preda alla fobia di ammalarsi preferendo di non uscire più di casa, vedi la “sindrome della capanna“.
In Terris ha chiesto alla dott.ssa Cirone una lettura in chiave psicologica della società contemporanea, chiedendole se – in tempi di pandemia – sarebbe meglio avere più o meno paura del normale. Ecco la sorprendente risposta della dottoressa:
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