Allarme psiche per la pandemia. “Una tragedia non rimane solo tale, quando riusciamo a trovare sensi e significati nuovi. E questo vale in modo particolare per le relazioni umane che sono tra le più colpite dal Covid-19″, afferma a Interris.it la psicologa e psicoterapeuta Chiara D’Urbano.
“Siamo tutti sulla stessa barca, ha detto il Papa- sottolinea D’Urbano-. Perciò per poter attraversare un tempo così unico e universale ed uscirne il meno lacerati possibile è vitale uno sguardo solidale. La cura e l’attenzione devono essere reciproche. Chi può, in termini di energia o materialmente, si guardi attorno. Perché magari proprio il vicino di casa si sente con l’acqua alla gola. E ha bisogno di una parola di speranza. O semplicemente di un ‘posso fare qualcosa per te?'”. Perito dei Tribunali del Vicariato di Roma, Chiara D’Urbano collabora nella ricerca e nella docenza con l’istituto di studi superiori sulla donna dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum. Per il sito della casa editrice Città Nuova segue una rubrica on line sulla vita in comune e cura un blog sulla vita consacrata.
“La pandemia, come ogni evento traumatico, quindi dirompente e imprevedibile, e in gran parte fuori controllo, crea un punto di rottura. Rispetto agli equilibri fino a quel momento in atto. È come un terremoto che scuote tutte le strutture: dalle sicurezze personali, a quelle lavorative, fino al modo di stare insieme. I nostri sistemi interpersonali sono stati passati al vaglio”.
“La convivenza forzata, nei mesi scorsi, ad esempio, ha reso molto più tese le relazioni domestiche che già erano incrinate. Ha acuito in alcuni casi le situazioni di violenza domestica. L’intolleranza delle coppie che mal si sopportavano si è estremizzata. Chi scalpitava in comunità si è sentito in gabbia. E oggi ne approfitta per tenersi alla larga da confratelli e consorelle fastidiosi, o per starsene ritirato in camera, ‘per prudenza’. Tuttavia – è questa la bellezza e la complessità dei processi umani – ciò non vuol dire automaticamente che le cose siano peggiorate, tutte, senza distinzione”.
“Intendiamoci: il prezzo che il Covid-19 ci ha fatto pagare e stiamo ancora pagando sono gli innumerevoli nostri anziani e persone fragili che hanno perso la vita. Sono gli operatori sociosanitari e i sacerdoti impegnati in prima linea. Dunque la pandemia è un dramma enorme, in termine di lutto, ma anche di ansia e depressione, come ci riportano diversi studi e ricerche. Tuttavia, proviamo a osservare lo scenario attuale anche da altre angolazioni”.
“Non serve a mitigare la sofferenza di moltissime famiglie. Né ad abbellire il tutto. Serve però a darci speranza che quello che ci capita può avere un suo senso. Il contatto stretto indotto dal lockdown ha, infatti, anche favorito uno stare insieme continuativo. E questo in molti contesti è stato registrato come positivo. Molti ragazzi hanno avuti i genitori vicino e a disposizione. I membri di comunità, sempre impegnati nell’apostolato, hanno ritrovato momenti di vita comune”.
“Si sono attivate ovunque forme di cura e solidarietà inusuali. L’obbligo del distanziamento fisico, perciò, per molti ha rappresentato e rappresenta l’occasione per ripensare la superficialità con cui sono stati vissuti i propri rapporti significativi. E per riapprezzarne l’importanza. O forse per scandagliare ciò che vale. E ciò che invece si sbiadisce con la distanza”.
Una condizione di protratto pericolo rende più solidali o più egoisti?
“La domanda mi piace molto. Noi vorremmo trovare risposte univoche e letture che valgono per tutti. Nei processi umani non è così. La sofferenza è un’esperienza veramente discriminante. Può essere uno stop che consente un ripensamento serio della nostra storia e delle nostre scelte. E può allargare gli spazi del nostro cuore. Ma può anche indurirlo. Pensiamo ad una grossa delusione. O un pesante tradimento”.
“Si può attivare lo straordinario processo del perdono, lungo e complesso. O si può entrare in una spirale di vendetta, rabbia e violenza che finisce per rendere peggiore l’essere umano. Sono tanti i fattori che concorrono a farci scegliere una strada o l’altra. Però la scelta c’è, quando ci cade una tegola in testa”.
“Magari si maturasse più rapidamente di fronte a preoccupazioni e dolori. Diciamo che la maturità è un allenamento fatto di flessibilità. E di disponibilità a ripensarsi. E mettersi in discussione. Non è qualcosa che si improvvisa. Per cui se siamo ordinariamente in un processo di questo tipo, ascoltiamo. Ci confrontiamo. Accettiamo i rimandi della consorte, del consorte. O di un accompagnatore spirituale, di un formatore/formatrice”.
“Allora abbiamo una maggiore probabilità di vivere come crescita il momento di difficoltà. È un po’ come il discorso dell’invecchiamento. Non si improvvisa una ‘bella anzianità. Ma si costruisce negli anni, attraverso atteggiamenti di curiosità. Di interessi mantenuti vivi. Di uscita da se stessi”.
“La domanda è molto pertinente, purtroppo. La pandemia rappresenta un trauma nella nostra esistenza. Che prima scorreva diversamente. Quindi gli effetti per alcuni di noi possono essere quelli di un vero e proprio disturbo post-traumatico. O comunque una sintomatologia di ansia, insonnia e depressione. Ciò naturalmente varia, a seconda di cosa la persona abbia vissuto o perso”.
“Nei nostri studi già affianchiamo persone che hanno sviluppato paura del presente. Paura di qualunque forma di vicinanza fisica, in quanto potenzialmente rischiosa. Ma anche timore del futuro. Perché questa pandemia non ha ancora dei confini, anche temporali, chiari. Del resto, ad essere onesti, tutti ci sentiamo molto piccoli davanti ad un colosso che sembrava arretrare. E che ora, invece, è tornato prepotente. Percepiamo un’incertezza generale e questo dobbiamo potercelo dire, per non rimanerne vittime inermi”.
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