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Accoglienza diffusa per il soggiorno d’emergenza. Modello Prato ai profughi ucraini

L’accoglienza diffusa come risposta alla crisi umanitaria. Alla diocesi di Prato il soggiorno d’emergenza per i profughi ucraini è diventato un modello di intervento solidale. Per sei mesi, infatti, sono state ospitate 45 persone. In particolare mamme con figli minori. Con l’ultima famiglia che nei giorni scorsi ha fatto ritorno in Ucraina, è terminata l’accoglienza diffusa nelle case dei pratesi. Coordinata dalla Caritas diocesana e dall’associazione il Casolare. Ad ospitare nella diocesi toscana gli sfollati del conflitto russo-ucraino sono state una ventina di famiglie accoglienti. Nuclei familiari che si sono resi disponibili a dare un alloggio. Pronti a garantire un sostegno a chi stava scappando dalla guerra.

Fraterna disponibilità

“Vogliamo ringraziare tutto coloro che nei mesi scorsi hanno aperto le porte delle loro case con fraterna disponibilità“, afferma Sandra Gramigni. Prosegue la responsabile del progetto per conto del Casolare: “La loro azione è stata un esempio di testimonianza cristiana. E ha permesso di alleviare la sofferenza. Soprattutto per donne e bambini. Persone costrette a lasciare il proprio paese colpito da una guerra assurda“. A Prato l’inserimento dei profughi ucraini nelle famiglie seguite dalla Caritas è iniziato a fine febbraio. Quindi il progetto è stato attivato pochi giorni dopo lo scoppio del conflitto. Ed è durato appunto sei mesi.
Laboratorio di accoglienza
A costituire la “filiera accogliente” per affrontare l’emergenza è stato il terzo settore. L’associazione il Casolare è una associazione di volontariato, costituita nel 1996 su impulso della Caritas. E assiste le persone prive di mezzi adeguati e le famiglie rimaste senza un tetto. Ospitati e ospitanti sono stati seguiti in ogni fase dell’integrazione. Innanzi tutto sono stati supportati nella compilazione dei documenti. Ossia nei passaggi burocratici necessari per essere in regola nell’accoglienza. “Ci siamo sempre interfacciati con la questura. Soprattutto per la richiesta dei permessi di soggiorno d’emergenza – racconta Sandra Gramigni-. Inoltre ci siamo coordinati con le scuole per l’inserimento dei bambini. Abbiamo compilato le domande relative ai sussidi. Sono stati trovati gli interpreti per comunicare. E abbbiamo attivato le tessere dell’Emporio per i bisogni alimentari”.

Rete solidale

Questo tessuto solidale ha creato relazioni. E ha permesso alle mamme ucraine e ai loro figli di potersi ambientare. Trascorrendo in modo caloroso e dignitoso questo lungo e difficile periodo lontano da casa. “Ora la situazione è cambiata – afferma la responsabile del Casolare-. Le donne e i bambini sono potuti ritornare nel loro paese. Oppure si sono avvicinati al confine. In modo da ricongiungersi con i mariti e il resto della famiglia rimasta in Ucraina”. Caritas sottolinea, poi, che l’ospitalità è stata totalmente a carico delle famiglie pratesi. Gli ospitanti si sono occupati anche dei costi per la scuola. Lo sport. E la salute delle persone accolte in casa.

Emporio per l’accoglienza

“Lo Stato ha attivato un piccolo sostegno economico da erogare direttamente ai profughi ucraini. Ma non è stato facile da ottenere. Mentre niente è previsto per chi aveva deciso di accogliere”, sottolinea Gramigni. La Caritas di Prato è ancora in contatto con una cinquantina di sfollati ucraini. Anche in questo caso si tratta di donne con figli. Attualmente sono ospiti di parenti o connazionali residenti in città. Queste persone vengono aiutate con le tessere dell’Emporio della Solidarietà. E ricevono un sostegno attraverso un recente progetto di Caritas italiana. Quello che prevede la distribuzione di tessere alimentari utilizzabili nei supermercati.
Giacomo Galeazzi

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