Tagli sulla pelle dei deboli

giacovazzoA Roma si dice nun c’è trippa pe’ gatti da quando il sindaco Nathan, nel 1907, tagliò le spese comunali per il mantenimento di una colonia felina che doveva impedire ai topi di mangiare i documenti degli archivi capitolini. Oggi si dice all’inglese, spending review, che fa più dolce la pillola. Peccato però che i nostri interventi di revisione della spesa si traducano generalmente in tagli, più o meno lineari, che si traducono a loro volta in aumenti delle tasse e riduzione dei servizi, primo fra tutti la sanità. Più che tagli della spesa, tagli dei diritti. Guarda caso, dei poveri cristi.

Come il taglio da 100 milioni di euro al fondo per i disabili gravi, inserito alla chetichella nella legge di stabilità e cancellato in fretta e furia, dopo le proteste di piazza. Mai una volta che la revisione della spesa pubblica (820 miliardi l’anno!) tagli qualche privilegio.

Mission Impossible, anche per un super commissario come Carlo Cottarelli, che qualche magagna l’aveva scovata. Ad agosto Cottarelli ha presentato al governo un programma di spending review da 15 miliardi di euro l’anno. E si è dimesso. Il suo dossier è sparito. Mistero. Nessuno ne conosce i dettagli. Nessuno sa sotto quale tappeto sia finito. Ma dalle poche indiscrezioni si è capito che avrebbe dato parecchio fastidio un po’ a tutta la classe dirigente.

Nel mirino del super tecnico erano finite in particolare le “partecipate”, le società miste dove comuni e regioni la fanno da padroni. Una miniera d’oro buttata. Secondo il super commissario una giungla di poltrone da decimare: da 8mila a mille in tre anni, con un risparmio per lo Stato di 3 miliardi l’anno per tre anni, solo dalle partecipate regionali. Elementare il criterio di chiusura: via quelle che hanno più amministratori che dipendenti; via quelle con i bilanci in perdita da oltre tre anni; via quelle che non si occupano di asset strategici per il territorio, come energia, rifiuti, acqua e gas.

In un tweet dell’8 aprile scorso Renzi faceva ben sperare: #municipalizzate “sfoltire e semplificare”. Ma nella finanziaria non c’è nulla. Solo un taglio di 4 miliardi alle regioni, che con la loro autonomia potrebbero anche eliminare da sole le partecipate in cancrena. Ma dalle prime reazioni dei governatori si è inteso l’andazzo: se ne laveranno le mani anche loro. Piuttosto che sfilare la poltrona da sotto alle terga di qualcuno, i presidenti delle regioni per loro stessa ammissione si vedono costretti a tagliare ancora una volta la sanità e i servizi.

Nessuno ha il coraggio di nominarle, ma c’è da scommetterci che saranno ritoccate anche le imposte sugli immobili, la vera patrimoniale mascherata. Ovviamente al rialzo: negli ultimi quattro anni sono salite da 9 a 28 miliardi; ma se ci sommiamo trascrizioni, bolli e simili il salto è da 10 a 50 miliardi.

La politica – questo è il problema – non riesce ancora a trovare i soldi per alleggerire l’oppressione fiscale, far funzionare i servizi e rilanciare il lavoro. Ma riesce benissimo a spenderli. E continua a nominare commissioni di esperti che producono tonnellate di carte che finiscono in un cassetto.

Come quella che doveva studiare la riduzione dello stipendio dei parlamentari. Altra missione fallita, dopo aver “scoperto” che i nostri rappresentanti guadagnano il doppio di francesi e tedeschi, cinque volte più degli spagnoli: circa 15mila euro al mese, compresa la diaria.

La nostra legge di stabilità, seppur incassando un ok di massima, resta sotto osservazione dell’Unione Europea. Che vede i numeri, ma mai le persone e i loro problemi. In un continente dove centinaia di migliaia di famiglie scivolano ogni anno sotto la soglia di povertà.

E la trippa per i gatti continua a mancare. Stavolta però è un grido di disperazione, dai cittadini al palazzo.