Intervento

La strage di Capaci: indubbio tornante della storia dell’Italia repubblicana

“Il 23 maggio 1992, presso Capaci una forte carica di esplosivo uccise il giudice, la moglie e gli uomini della scorta. Le importanti indagini condotte negli anni precedenti dal pool antimafia, di cui Falcone era esponente di punta, avevano fatto luce sull’organizzazione Cosa nostra e portato al maxiprocesso di Palermo, iniziato nel 1986 e concluso definitivamente, nel 1992, con la condanna di molti mafiosi ai vertici di questa organizzazione. La sua opera ha prodotto una svolta nel rapporto tra lo Stato e la Mafia e segnato una pesante sconfitta di quest’ultima”.

In questi termini Agostino Giovagnoli, in una delle migliori storie del secondo dopoguerra, “La Repubblica degli Italiani 1946-2016 (Laterza 2016), racconta quella vicenda drammatica, ormai nota come “La strage di Capaci”, che costituisce un indubbio tornante della storia dell’Italia repubblicana.

Strage commissionata dal boss di Cosa Nostra, Salvatore Riina, nel quadro della strategia di aggressione sistematica contro lo Stato attuata dai primi anni Novanta. Strategia che prevede, a poche settimane di distanza, il 19 luglio, l’attentato di Via D’Amelio a Palermo, contro il giudice Paolo Borsellino e attentati anche a Roma e Firenze.

Con l’obbiettivo di premere sulle istituzioni per allentare il duro regime carcerario dei boss mafiosi previsti dalle nuove norme del 41 bis. In questo torbido contesto si colloca la discussa e controversa trattativa Stato-Mafia.

“Falcone – leggiamo nel portale ‘Per non dimenticare’, animato dal benemerito centro di documentazione Archivio Flamigni, in corso di trasformazione in fondazione – dopo essere stato Giudice a Trapani e Giudice istruttore e Procuratore aggiunto a Palermo, imponendosi come uno dei magistrati più impegnati e competenti nelle indagini antimafia, impossibilitato a continuare il suo lavoro dopo lo smantellamento del pool antimafia, si era trasferito a Roma con l’incarico di Direttore generale degli Affari penali presso il Ministero di Grazia e Giustizia ed era candidato alla carica di Procuratore nazionale antimafia. Sono stati condannati come mandanti alcuni capimafia facenti parte della cupola. Rimane irrisolto il problema dei mandanti esterni”.

Anche se ormai le stragi di Capaci e di Via D’Amelio sono entrate nella memoria collettiva, occorre ricordare oltre a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i nomi e le figure delle altre vittime. In primo luogo Francesca Laura Morvillo che era un valente magistrato, il cui percorso umano e professionale ha finito per essere oscurato dalla potente immagine del marito. Poi gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, per la strage di Capaci e Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muti, Walter Cosina e Claudio Traina per quello di Via D’Amelio. Sono servitori fedeli dello Stato, provenienti da regioni diverse ma di comune estrazione popolare, scelti a far parte della scorta di magistrati importanti, notoriamente esposti a pericoli incombenti, per la loro preparazione e dedizione.

Consiglio, per la sua potenza evocativa, la visione del film “Vi perdono ma inginocchiatevi”, che ricostruisce le vite degli agenti che morirono nella Strage di Capaci. Uscito nel 2012 e trasmesso in televisione, si basa liberamente sul libro scritto da Felice Cavallaro e Rosaria Schifani, vedova di uno degli agenti uccisi, che pronunciò le parole che hanno ispirato il titolo durante i funerali trasmessi in diretta dalla Rai. Un grido accorato accompagnato da singhiozzi durante i funerali nella Chiesa di San Domenico a Palermo, il 25 maggio del 1992, che pareva non potessero essere cancellati dalla memoria collettiva.

Quale è oggi, trentadue anni dopo, la percezione diffusa della Mafia. Ci aiuta un’indagine commissionata lo scorso anno dalla Fondazione Falcone all’IPSOS, attraverso un monitoraggio nel tempo. Quasi quattro italiani su cinque ritengono che “i mafiosi di oggi non sono più contadini semianalfabeti ma manager in giacca e cravatta che girano il mondo”. Conseguentemente, sono convinti che la Mafia sia un fenomeno diffuso ben oltre il Mezzogiorno, nel resto dell’Italia e anche all’estero. Ben tre interpellati su quattro ritengono inoltre che le mafie abbiano l’ambito prediletto della loro azione e presenza non sia più quello delle armi e della violenza, ma quello della finanza e delle stesse multinazionali.

Non si percepisce più la mafia come un fenomeno culturale, come una mentalità insita in alcune fasce della popolazione. Ma questo lo aveva già sostenuto Salvatore Lupo nel suo magistrale libro, “La mafia. Centosessant’anni di storia. Tra Sicilia e America” (Donzelli, 2018).

Quasi il 30% degli intervistati ritiene che sia una “manifestazione estremamente violenta e organizzata di criminalità”, ma è diffusa anche la convinzione che si tratti di una “degenerazione criminale di forme di potere economico (per il 19%) o politico (per il 20%).

L’inchiesta registra infine che l’attenuarsi delle modalità di presenza e d’azione violente possa influire nel tempo sulla percezione della gravità del fenomeno mafioso, pur ancora elevata. Di qui il dovere politico e morale della formazione alla cultura della legalità, continuando a impegnare in tal senso le scuole di ogni ordine e grado, dalla primaria all’università.

D’obbligo, al riguardo, il riferimento al sito https://www.wikimafia.it. Un’iniziativa di grande respiro e anche efficacia, promossa da Libera di don Luigi Ciotti, che si configura come la prima e più grande enciclopedia sul fenomeno mafioso e il movimento antimafia in Italia, gratuita e liberamente consultabile da tutti, dove sono presenti oltre 1400 voci, elaborate in più di undici anni del coraggioso lavoro svolto da Libera in tutto il territorio nazionale.

Carlo Felice Casula

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