Nelle steppe dell’Europa orientale infuria la guerra. Da lì arrivò il Papa polacco che disse: “La pace deve essere sempre il fine”. L’impegno di Francesco per la pacificazione dell’Ucraina si ispira alla lezione del suo predecessore Karol Wojtyla per una “pace perseguita e difesa in ogni circostanza“. L’invasione russa dell’Ucraina rievoca tragicamente l’oppressione sovietica della Polonia. “Non ripetiamo il passato- insegnò San Giovanni Paolo II-. Un passato di violenza e distruzione. Immettiamoci nell’erto e difficile sentiero della pace. Il solo sentiero che si adatti alla dignità umana. L’unico che conduca verso il vero compimento del destino dell’uomo. Il solo che guidi verso il futuro. In cui l’equità, la giustizia e la solidarietà sono realtà. E non soltanto dei sogni lontani“. Oggi che Vladimir Putin rispolvera toni da grandeur imperiale può risultare utile ricordare l’esempio polacco. Appena eletto, Karol Wojtyla aveva pensato subito a un viaggio in Polonia. Almeno una volta, anche se fosse stata l’ultima, avrebbe voluto rivedere la sua patria. Ritornare nella sua Cracovia. Risentire il profumo della sua terra. Ma, nel momento stesso in cui aveva cominciato a pensarci, Giovanni Paolo II si era reso immediatamente conto che la cosa sarebbe stata molto difficile. Il fatto che dal conclave fosse uscito un Papa polacco aveva mandato fuori di testa i capi comunisti. E per primo il Cremlino. “Quell’uomo porterà solo guai!“, continuava a ripetere il presidente sovietico Leonìd Brèžnev. E lo diceva sapendo che “quell’uomo” conosceva il marxismo dal di dentro. Conosceva il suo impianto ideologico. I suoi meccanismi e anche i suoi punti deboli. Quindi sapeva come attaccarlo.Proprio per questo, nei primi tempi del suo pontificato, Giovanni Paolo II aveva mantenuto un profilo basso. Cercando di evitare interventi critici, polemici. Aveva confermato l’Ostpolitik e monsignor Agostino Casaroli alla sua guida. Ma con un cambio di strategia. E cioè, vincolando l’azione diplomatica (e quindi i rapporti con i Paesi comunisti) al rispetto dei diritti umani. In modo da privilegiare il dialogo con i popoli, con le nazioni, anziché con gli Stati. Era andato come suo primo viaggio in
Messico, ch’era ufficialmente anticlericale. E con un governo e un
parlamento pieni zeppi di massoni. Quindi il Papa confidava che le autorità
comuniste polacche non avrebbero potuto dirgli di no.Però era Mosca che continuava a mettere i bastoni tra le ruote. Brèžnev era arrivato a proporre una alternativa incredibile. “Dite al Papa che potrebbe dichiarare pubblicamente di non essere in grado di venire a causa di una indisposizione“. La proposta era ovviamente assurda, se non ridicola. Così il governo di Varsavia
aveva avuto buon gioco nel vincere le resistenze del Cremlino. Anche perché aveva chiesto, e ottenuto dal Vaticano, di spostare la data del viaggio. Il più lontano possibile dalle celebrazioni del IX centenario del martirio di san Stanislao. Ossia del vescovo di Cracovia ucciso da un re tiranno per difendere il popolo. E perciò, personaggio scomodo (essendo andato contro lo Stato) per la storiografia marxista. E per un regime che si sentiva sul collo il fiato del Grande Fratello russo.Era il 2 giugno del 1979, quando il Papa polacco arrivò a Varsavia. Il primo Papa che metteva piede in un Paese comunista. La definizione migliore, e passata alla storia, fu quella del cardinale Franz König, arcivescovo di Vienna. Un vero e proprio “terremoto”. Giovanni Paolo II celebrò la prima messa in piazza della Vittoria. Dove di solito si svolgevano le principali manifestazioni del regime. “L’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo– disse Karol Wojtyla nell’omelia- è un atto contro l’uomo. Senza di Lui non è possibile capire la storia della Polonia”. Parole mai sentite prima, pubblicamente, in un Paese dell’Est. E infatti, dalla folla, scoppiò un applauso che durò più di dieci minuti.