Nessuna vita è uno “scarto” di cui liberarsi

“L’abrogazione, ancorchè parziale, della norma sull’omicidio del consenziente non preserverebbe la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”: pochissime, lapidarie parole per dire che la vita umana non è un bene totalmente disponibile al soggettosalvo, purtroppo, la tragedia del suicidio, che è tale, cioè una tragedia, e tale deve restare – e che, di conseguenza, provocare la morte di una persona, anche se richiesti in tal senso, è un reato in quanto azione incompatibile con la nostra Costituzione.

A ben vedere, a mio avviso, già il semplice “buon senso” – virtù sempre più rara in questa nostra epoca – ci dice senza ombra di dubbio che uccidere una persona, perché la stessa lo chiede, è un assurdo sociale, che viola la base stessa della convivenza civile. Il “colpo di grazia” si dava al condannato a morte, agonizzante a causa dell’imperizia del plotone di esecuzione, ma è impensabile darlo a chi, pur sofferente, vive. Vive e chiede aiuto, chiede “compassione” – nel senso etimologico del termine, cioè “patire insieme”, non essere lasciato solo – anche quando la umana disperazione ci può spingere fino a chiedere di morire.

Se mai fosse passata o dovesse passare l’istanza della depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, significherebbe che chiunque di noi può diventare titolare di una “licenza di uccidere” il cui unico lasciapassare sarebbe che “lui me lo ha chiesto”! Purtroppo, non è per nulla una fiction, perché è già accaduto: un giovane a Porto Empedocle, qualche mese fa, volendo suicidarsi e non avendo il “coraggio” di premere il grilletto, ha chiesto l’intervento di un amico … che lo ha aiutato a portare a termine il tragico progetto! Fa rabbrividire tutto ciò, ma lo fa ancora di più se pensiamo che potrebbe diventare legale perché si è trattato di un omicidio con il consenso del titolare di quella vita o un aiuto attivo al suicidio!

Senza dire dell’enorme quantità di abusi che si potrebbero mettere in atto, basta ragionare – pacatamente, freddamente, laicamente – per vedere la totale assurdità della richiesta referendaria. Purtroppo, però, non è finita. Già, perché davvero al male non c’è mai fine: scomposte dichiarazioni di leader politici invocano una “civile” legge per “mettere fine alla sofferenza di tante persone”. Si invoca, a gran voce, che il Parlamento approvi al più presto il disegno di legge sulla “morte volontaria medicalmente assistita” (ddl Bazoli/Provenza). Stando a questi appelli (che personalmente ritengo insensati e scellerati) l’emergenza del nostro Paese, oggi, è una legge che interrompa la sofferenza, eliminando il sofferente.

La famosa “terza via” – come la chiamò Cicely Saunders, fondatrice degli “hospice” – fra i due inaccettabili estremi dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico, rappresentata dalla medicina palliativa, rimane una bella parola di cui riempirsi la bocca (perfino i fautori dell’eutanasia la citano, ma non sanno per nulla di che cosa si tratta!) senza fare neppure un passo per dare compimento alla legge 38/2010 , che può realmente dare risposta alla disperazione della persona sofferente, che si trova così quasi costretta ad invocare la morte.

Nel pronunciamento della Consulta si dichiara che è in gioco la tutela minima, necessaria, per evitare che la vita umana sia considerata e trattata al pari di un vestito vecchio, sdrucito, rattoppato, degno solo del cassonetto dei rifiuti. Nessuna vita è mai così; nessuna vita è indegna di essere vissuta; nessuna vita è degna della morte inflitta e provocata; nessuna vita è uno “scarto” di cui liberarsi.

L’appello del Santo Padre – la morte va affrontata come passaggio ineludibile dell’esistenza umana, ma non va mai “somministrata” – ha i toni di un umanesimo concreto e virtuoso, che rifugge e condanna l’omicidio, comunque lo si voglia mascherare. Per i credenti, poi, e in particolare per gli uomini della politica e della cultura – tanto più se dichiaratisi cristiani cattolici – ha il tono di un appello morale inemendabile, la cui radice prima ed ultima sta in quel “non uccidere” che forse si è dimenticato. O peggio, si è deciso di cancellarlo..