Intervento

Le motivazioni per le quali la Polonia dice no all’aborto eugenetico

L’aborto eugenetico non è compatibile con la Costituzione della Polonia. E’ quanto ha stabilito la Corte Costituzionale polacca il 22 ottobre scorso con una sentenza storica, accolta come un segnale di civiltà e di pari dignità per tutti gli esseri umani da parte dei settori pro life dell’opinione pubblica ma contestata aspramente dai movimenti che si battono per introduzione dell’interruzione di gravidanza.

Permettere l’interruzione di gravidanza quando il feto evidenzia problemi genetici equivarrebbe a legalizzare “pratiche eugenetiche su un bambino non ancora nato, negandogli così il rispetto e la tutela della dignità umana”, è quanto si affermano le motivazioni della sentenza, a firma della giudice Julia Przylebska, la quale ha inoltre dichiarato che una legge che rende il diritto alla vita del nascituro dipendente alla sua salute è incoerente con la costituzione.

In pratica il più alto organismo giurisprudenziale della Polonia ha dichiarato che la norma che prevede l’aborto per feti che presentano malformazioni è contraria a tre articoli della legge fondamentale del Paese, quello sulla protezione della vita umana (Art. 38), sul rispetto e la tutela della dignità umana (Art. 30) e sulla discriminazione (Art. 32). La legislazione polacca consentirà ancora l’interruzione di gravidanza per i casi di stupro, incesto o grave rischio di vita per la madre.

Il messaggio che arriva da Varsavia è coerente dunque con il semplice principio che non esistono vite che non sono degne di essere vissute e che l’aborto non può essere uno strumento di selezione degli esseri umani, quelli prestanti portati alla nascita gli altri scartati perché poco o per nulla produttivi.

Ovviamente la lettura data dagli ambienti occidentali progressisti e ultraliberisti è stata tutt’altra. Tante reazioni scomposte di molti esponenti politici europei, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio Europeo dell’Ue) la bosniaca Mijatovic, ha parlato di «è una giornata triste per i diritti delle donne». Dichiarazioni che hanno dato la stura alle proteste interne dei movimenti pro aborto, da sei giorni migliaia di persone animano manifestazioni in diverse località della Polonia, con le quali vengono chieste anche le dimissioni dell’attuale governo conservatore.

Il caos è arrivato anche al Parlamento. Lo speaker Ryszard Telecki ha dovuto chiamare le guardie per proteggere il leader del partito al governo, Diritto e Giustizia (PiS), Jaroslaw Kaczynski, dagli attacchi degli oppositori. Telecki, stretto alleato di Kaczynski, ha irritato ancora di più l’opposizione paragonando il simbolo del fulmine rosso delle proteste alle rune delle SS della Germania nazista.

Dal canto suo il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha difeso l’inasprimento della legge sull’aborto e ha condannato le massicce proteste scoppiate a livello nazionale dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul divieto di abortire in caso di malformazione del feto. “Per avere la libertà di scelta devi prima essere vivo”, ha detto Morawiecki, “le situazioni che stiamo vedendo per le strade e che equivalgono ad atti di aggressione, vandalismo, attacchi, sono assolutamente inammissibili, non dovrebbero avvenire affatto”.

Le proteste, spesso sfociate in violenze, hanno preso di mira anche le Chiese. Domenica scorsa molte Messe sono state interrotte, mentre minacce e scritte blasfeme sono apparse sulle pareti di edifici sacri di tutto il Paese. Nella chiesa di Santa Croce, a Varsavia, hanno fatto irruzione una dozzina di attivisti che brandivano cartelli con scritto “che diavolo ne sai del parto”, “la Polonia è l’inferno delle donne”. Scene simili si sono verificate in altre chiese della capitale e di altre città polacche.

L’odio anticattolico del tutto ingiustificato ha portato monsignor Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, ribadire che la Chiesa sul tema del diritto alla vita ha una posizione immutabile e pubblicamente nota ma che non sono i vescovi a fare le leggi in polonia.

Sicuramente lascia l’amaro in bocca che l’Europa, culla dei diritti del riconoscimento della dignità della vita umana, risponda con cieco disappunto ad una decisione che mira a tutelare i più deboli e indifesi. I contestatori hanno escluso dal dibattito ogni misura di vicinanza alle donne e ai bambini con bisogni speciali e la gravidanza è stata nuovamente ridotta ad un evento meramente privato. Nel Vecchio Continente non c’è più posto per la vita nascente, sicuramente de-ideologizzare il confronto gioverebbe a tante donne che attendono solo una mano tesa.

Marco Guerra

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