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Matteo, Silvio e la “santa alleanza”

Giusto qualche giorno fa l’istituto di ricerca Ipr Marketing ha sfornato un sondaggio solo in apparenza particolarmente sorprendente: il sistema tedesco italianizzato non piace alla maggioranza degli intervistati. Il 63% ha bocciato le liste bloccate; contrari sono il 58% degli elettori Pd, il 55% di quelli di Forza Italia e il 67% dei grillini. Il 60% degli italiani critica il fatto che la legge elettorale che sta nascendo non prevede un premio di governabilità. L’unico aspetto promosso riguarda la soglia di sbarramento. Il 55% concorda con la soglia del 5% mentre un ulteriore 15% vorrebbe aumentarlo.

Al netto del dibattito sulle preferenze, a sorprendere è la chiara richiesta di semplificazione del quadro politico. In pratica gli intervistati chiedono meno partiti e maggiore riconoscibilità di chi entra in parlamento. Onestamente la legge varata dalla Camera non sembra andare esattamente in quella direzione. Non a caso sono in molti prevederne una possibile bocciatura al Senato, dove i numeri della maggioranza sono ridotti all’osso e la guerriglia degli esclusi, a partire dal partito del ministro Esteri, Angelino Alfano, potrebbe ottenere qualche risultato. E infatti l’attenzione è già tarata su Palazzo Madama.

Eppure, al di là degli interessi di bottega dei leaderini e delle logiche partitocratiche dei cosiddetti poltronisti, questo Paese ha bisogno di una legge elettorale degna di essere chiamata tale. Chiariamo un punto: l’eventuale ricorso al voto anticipato è un argomento totalmente scollegato dal sistema di voto. Un’eventuale crisi di governo non riguarda la riforma in sé ma l’opportunità politica di andare avanti in ogni modo fino alla scadenza del mandato. Comunque la si pensi è un bene che il Parlamento faccia il proprio mestiere, dando agli italiani un mezzo per andare alle urne, per esprimere la propria volontà.

Non sarà una legge elettorale, chiara e condivisa, ma è pur sempre un metodo. E quando il capo dello Stato, Sergio Mattarella, riterrà opportuno sciogliere le Camere non brancoleremo nel dubbio. Dunque, durata del governo e sistema elettorale sono due pianeti che ruotano attorno allo stesso sole, ma non sono sulla stessa orbita, non rischiano la collisione. E proprio per quest’ordine di ragioni le entrate a gamba tesa del presidente emerito Giorgio Napolitano e del leader dei 5 Stelle, Beppe Grillo, vanno lette in filigrana. La loro apparente bocciatura della legge elettorale, per ragioni tendenzialmente divergenti sul punto di partenza ma convergenti nel portato finale, rischiano di alimentare un dibattito sterile e disorientante per gli italiani.

Davvero il presunto accordo a quattro è un rischio per il Paese? E siamo sicuri che preferenze e voto disgiunto siano il miglior conduttore di democrazia? Critiche e opzioni sostenibili, sia quella di Napolitano sia quella di Grillo, ma il sentimento nazionale ha dimostrato che il maggioritario non fa parte del dna degli italiani, proporzionalisti nell’intimo e nell’animo. Cinquanta anni di Democrazia Cristiana e consociativismo non si cancellano con un finto modello elettorale tedesco declinato in salsa italiana.

Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, autori e fautori della grande coalizione, hanno capito che gli italiani vogliono solo guardare avanti, mirando ad entrare nel futuro per non restare nel passato. Del modello tedesco, più che il sistema elettorale, hanno percepito l’essenzialità della santa alleanza che unisce destra e sinistra nel nome del bene comune. Che non sarà un grande risultato, ma resta pur sempre un mezzo. Ecco, forse Napolitano e Grillo temono ciò, non la legge elettorale in quanto tale. Il presidente emerito è stato la levatrice di governi concepiti senza il voto e Grillo dice e contraddice se stesso. Su tutto. Il nodo, per loro, è solo politico, e non tecnico…

Macario Tinti

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