Il vaso di coccio

rinaldiLa crisi ucraina e lo spostamento verso la Cina degli asset russi rappresentano certamente un motivo di preoccupazione per l’Europa, ma sbaglierebbe chi pensasse che sia questa la spallata al sistema Euro. La realtà, verso la quale ci stiamo inesorabilmente dirigendo, è l’implosione di un sistema economico non sostenibile dall’interno, con una serie di Paesi – Francia compresa – che non possono reggere i parametri imposti dalla Germania e il suo ritmo. Oggi ancora sembra che tutto sia recuperabile, ma i primi scricchiolii sono evidenti.

Quando toccherà ai nostri cugini d’Oltralpe iniziare a fare i sacrifici chiesti all’Italia e alla Grecia arriveremo al corto circuito. Noi siamo un popolo spesso di pecoroni, inclini a fare tutto ciò che ci viene detto, soprattutto dall’estero. Siamo il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, sempre divisi e per questo senza potere; siamo anche quelli pronti a spalancare le porte al salvatore di turno, purché arrivi fuori dai confini nazionali. I francesi, al contrario, sono quelli della ghigliottina, tanto per intenderci.

Certo è però, al contempo, che la crisi Ucraina ha gettato un’ombra sulla tenuta dell’intera Eurozona; non solo per il rischio evidente di drastica diminuzione dei rapporti commerciali con il mondo orientale, e non tanto per il delicato equilibrio sull’approvvigionamento energetico che riguarda certamente le famiglie ma ancor di più il comparto industriale. Piuttosto per l’apertura di credito che Putin ha fatto alla Grecia rischia di diventare la crepa sulla quale si può innestare la rottura dell’organizzazione del Vecchio Continente.

La popolazione ellenica è allo stremo e non ci sono più i presupposti e i margini di manovra per poter rendere l’euro una valuta idonea alle esigenze dell’economia greca. Il problema di fondo rimane la permanenza nell’euro e le sue assurde e anacronistiche politiche economiche imposte a un paese che non ha mai avuto le possibilità, neanche remote, di poterle perseguire ed attuarle. Ma è chiaro che se Tsipras decidesse di fare il passo estremo di “uscire” deve prima garantirsi solide coperture di rapporti commerciali in grado di sostenere la nazione. E Punti è lì con la mano tesa.

La situazione geopolitica mondiale, poi, acuisce ogni singolo elemento di questo ragionamento; la politica fatta dagli Stati Uniti negli ultimi tempi è stata fallimentare. Si è riusciti a destabilizzare lo scacchiere mediorientale inimicandosi praticamente tutte le popolazioni, si sono cercate improbabili sponde con storici nemici, incrinati i rapporti con la comunità ebraica, eliminato dalla scena Gheddafi senza avere pronta una soluzione di stabilità. Un disastro dietro l’altro, che di riflesso ha indebolito l’intero blocco fondato sul patto atlantico. In questo contesto l’Italia ha perso la sua grande chance di acquisire il ruolo di mediatore internazionale, occupare la scena ponendo le proprie competenze, la sua storia e la vicinanza geografica come elementi strategici per avere un ruolo da protagonista. Siamo rimasti ancora una volta ai margini della scena mondiale, impegnati in stucchevoli beghe di quartiere.

Antonio Maria Rinaldi

Professore di Economia