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Cosa rimane del centrodestra a trazione berlusconiana

D’accordo, il gioco politico dell’estate è maledettamente semplice: chi vincerà le elezioni in Sicilia? Il centrodestra che ritrova Angelino Alfano o il centrosinistra che non fa scappare il ministro degli Esteri? Oppure il Movimento 5 stelle, con tanti saluti a sondaggisti e analisti politici? Mai come questa volta si tratta solo e soltanto di domande retoriche, fini a se stesse.

Perché il vero tema della elezioni siciliane sta dentro a queste scatole cinesi, costruite apposta per togliere dal tavolo della discussione l’elemento caratterizzante del quadro politico che si va delineando. Il centrodestra a trazione berlusconiana è ancora una forza attrattiva, al di là del caso Alfano destinato a restare tale, capace di esprimere una candidatura forte, oppure è solo la risultante degli errori di Matteo Renzi?

In pratica i passi falsi compiuti dal leader del Pd hanno ridato vigore al vecchio leone, ma la rapidità degli eventi non ha permesso all’ex presidente del Consiglio di metter giù uno schema vincente, lineare. Nonostante i bei colpi di teatro, fuori dal palcoscenico della quotidianità, Berlusconi da l’impressione di recitare a soggetto.

Il partito stenta a ritrovate l’identità perduta, con i piccoli leader che vorrebbero essere già grandi, e coloro che dovrebbero trascinare in realtà sono vagoni al seguito. In mezzo a tutto questo è normale che Niccolò Ghedini finisca per muoversi come un elefante in un negozio di cristalli. Rispetto a Denis Verdini l’avvocato di Berlusconi, nonché deputato di Forza Italia, non dispone di quella scaltrezza che ha reso unico il leader di Ala.

All’acme della sua carriera politica all’interno del movimento azzurro, il senatore toscano faceva il bello e il cattivo tempo nel partito, che guidava con la mano sinistra avendo la destra impegnata a stringere mani a sinistra. Oggi Ghedini deve ripartire da zero. Questo, è ovvio, rende la vita difficile a Berlusconi che sa di dover passare la prova siciliana con il minor danno possibile.

Gli appelli all’unità rivolti da Silvio agli alleati, a tratti improbabili e improponibili nella loro vaghezza, sono caduti nel vuoto. Un vuoto riempito da accuse e controaccuse, ripicche e antichi rancori. Che finiranno per fare soltanto del male al centrodestra. Del resto non sfugge a nessuno il fatto che Matteo Salvini stia facendo una politica speculativa, tesa più a sottrarre che a sommare nella convinzione di poter restare solo al comando.

Possibile, ma la strada che porta alle politica è lunga e tortuosa e il leader della Lega rischia di restare ostaggio di se stesso. Soprattutto quando Renzi dovrà, per forza di cose, riannodare il filo del discorso con il Cavaliere. La logica della grande coalizione va stretta a tutti, come fosse una camicia di forza, una gabbia mentale a maglie strette. Ma è anche l’unica possibilità di tirar fuori dalla palude un Paese malato di solitudine, di rabbie intestine che alimentano tutto ciò che è anti, senza considerare cosa c’è dietro il muro.

La lezione del muro di Berlino è stata dimentica troppo in fretta. Abbattere e facile ma rifondare, ricostruire e terribilmente difficile. E questa Italia dà sempre più l’impressione di aver smarrito gli utensili del lavoro manuale. Sarà un caso ma l’apparente artigianalità della nuova comunicazione berlusconiana, dove anche il caso viene studiato a tavolino, piace agli italiani. Il segnale è chiaro: basta alchimie e spot. È il momento della manualità. Se il cavaliere riuscirà a portare sino in fondo questo meccanismo, anche Ghedini avrà modo di passare alla storia. Altrimenti vorrà dire che sul viale del tramonto splende il sole, ma non scalda più come una volta…

Macario Tinti

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