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La forza della benedizione

Nella tradizione monastica il monaco prima di partire per un viaggio chiede al suo abate la benedizione. E lo stesso fa quando rientra. Incontrandosi, i monaci si chiedono l'un l'altro la benedizione. Da questa tradizione deriva il saluto benedettino “Benedicite!”, che altro non è se non una richiesta di benedizione

I monaci chiedevano lo stesso agli ospiti e prima di andare a dormire venivano tutti benedetti dall'abate. In alcuni conventi, prima dell’ultima preghiera del giorno questi visita tutti gli ammalati e li benedice affinché trascorrano una notte serena e tranquilla.

Nel percorso della vita benedettina questo gesto sacro è importante. Bene-dire vuo dire “dire bene”, esprimere un augurio, voler bene. Sembra una cosa formale, simbolica. Invece no: è un impegno a creare buoni rapporti, garantire che gli altri, insieme a noi e non solo, si sentano bene, sicuri, apprezzati. Non è un rito – pur avendo diverse formule rituali – ma una forma di di accoglienza, di incoraggiamento. Uno slancio che permette di andare avanti, di crescere. Un’espressione di solidarietà, di sostegno e amore.

Il pragmatismo e la concretezza ci hanno fatto dimenticare questi comportamenti. Riducendo le parole e i gesti, secondo noi, “non necessari” abbiamo perso la capacità di creare attorno di noi un’aura buona, positiva, incoraggiante, che offre aiuto. Siamo lontani, separati, alienati. E' una situazione di comodo, che ci evita eventuali delusioni. Diventiamo indifferenti davanti a congedi e separazioni, preferiamo stare senza nessuno. E l'atmosfera, intorno a noi, diventa pesante, avvelenata, insopportabile.

Gesù conclude la sua presenza fisica nel mondo ponendosi in contrasto con questi atteggiamenti. Avendo vinto la morte attraversando la sua soglia e poi tornando in vita, è capace di guardare oltre le delusioni e i tradimenti degli uomini, superando anche le loro paure. Anzi, agli stessi uomini che lo hanno lasciato solo affida la sua missione, preparandoli e benedicendoli. Non dice loro “Addio!”, perché torna al Padre e, contestualmente, come dice nel Padre stesso rimane. Li introduce al concetto della vita recuperata, simboleggiata proprio dalla benedizione impartita. San Luca nota che “alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (Luca 24, 50-51). Questo gesto sembra far sparire tutto: il congedo, la separazione, l'incertezza che ne deriva. La benedizione spiega e dirige tutto e non c'è spazio per tristezza o nostalgia.

I discepoli si prostrano davanti a Gesù, riempiti della gioia e della lode di Dio. Ecco i frutti della benedizione: avviare uno slancio che può solo crescere, con l'aiuto dello Spirito Santo. Le benedizioni fanno parte della liturgia, ma anche al di fuori di essa sono previste dalla Chiesa formule e riti. E, però, importante soprattutto l'atteggiamento: un sorriso, l’accettazione, il sostegno, il supporto. Tutto quello che aiuta ad andare avanti, a essere coinvolti, a crescere. Se non vogliamo sentirci soli dobbiamo allora abbandonare paure, chiusure e alienazioni, qualunque cosa accada. Benediciamo il Signore, le sue opere meravigliose e il prossimo. San Pietro, ricordando l'insegnamento di Gesù, ha scritto: “Siete stati chiamati per avere in eredità la benedizione” (1 Pietro 3,9).

padre Bernard Sawicki

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