Editoriale

Il segnale delle urne vuote chiede grandi cambiamenti alla politica

Le elezioni per il rinnovo delle assemblee elettive locali, sono state sempre ritenute capaci di coinvolgere gli elettori rispetto alle competizioni elettorali nazionali, ma ormai i comportamenti si sono uniformati come si è potuto notare dalle affluenze alle urne di domenica scorsa nei ballottaggi per l’elezione dei Sindaci. I dati sono risultati sconvolgenti, persino peggiori di quelli registrati al primo turno. Ed infatti è allarmante notare che alle urne hanno depositato la loro scheda solo il 42% degli elettori: il12% in meno di affluenza alle urne rispetto al già preoccupante 50% e più avuto 15 giorni prima.

Molti lo hanno giustificato all’anticipo sorprendente della canicola e alla disposizione di una sola giornata per votare, ma questi aspetti pur influenti, non giustificano il tonfo della diserzione al voto che ha superato ogni altro primato negativo. Io penso che questi segnali negativi non possono essere esorcizzati dalle stucchevoli esultanze di vittoria, aggiungo io di Pirro, ora di uno schieramento, ora di un altro, alla conclusione degli spogli elettorali. È pur vero che comunque vengono dichiarati eletti Sindaci e consiglieri comunali, ma proprio per la domanda pressante di buon governo, tanto determinante per il futuro, dovrebbe suscitare tanti interrogativi che nessuno sembra porsi.

Eppure questo fenomeno incide sensibilmente sulla qualità del governo di una comunità locale. Come si sa, il buon governo di una giunta comunale, di una regione come di un consiglio di ministri, è legato indissolubilmente al rapporto stretto con i cittadini che in questo caso si immedesimano con i loro eletti, e che comunque riconoscono al processo democratico il criterio per attribuire i poteri dell’amministrazione della cosa pubblica. Quando il legame è precario in quanto neanche sorretto dal voto espresso dalla maggior parte degli elettori, si dovranno fare scelte di grande responsabilità, in quel caso l’amministratore è praticamente solo; tant’è che sovente rinuncia a decidere per timore della impopolarità. Se poi i partiti, come accade, rinunciano ad orientare i cittadini, non coinvolgendoli capillarmente alle attività di confronto sui temi importanti, non informandoli sui temi del futuro e di attualità, la situazione diventa problematica come accade.

Personalmente sono da tempo tormentato da un interrogativo: come può una Democrazia in una società moderna ed evoluta, funzionare con partiti che intendono il loro ruolo solo di comitati elettorali, e comunicando con i cittadini con i “social”, dichiarazioni stampa, con talk show? In un contesto tale non può che crescere la ingovernabilità, verso un approccio approssimativo sulle cose tremendamente serie, sul valore e senso della stessa Democrazia. E allora, i leader di partito farebbero bene a riflettere sui tantissimi avvertimenti dati dagli elettori nel corso i questi anni che dovrebbero suggerire a cambiare radicalmente il funzionamento della politica. Però anche in queste ore, mentre l’Italia torna dopo tantissimi anni nei tavoli mondiali grazie alla statura dell’attuale presidente del Consiglio, alcuni capi partito, chi palesemente chi sotto sotto, cercano di denigrare Mario Draghi che grazie alla propria competenza ed autorevolezza, li rende visibilmente inadeguati, e taluni persino ridicoli nell’improbabile ricerca di consenso dichiarandosi per cose opposte tra loro anche nell’arco della stessa giornata.

Raffaele Bonanni

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