Editoriale

Quale sarà il destino dell’ex Ilva

L’annosa vicenda di Arcelor-Mittal, ex Ilva, ben rappresenta il cambiamento di comportamenti ed aspirazioni del Paese. Questo caso deve farci riflettere davvero su comportamenti collettivi e di governi ormai incompatibili con un paese avanzato. Eppure siamo stati capaci in passato di cambiamenti che hanno procurato meraviglie ed avanzamenti di benessere impensabili. Ero ancora un adolescente ed assistevo alla migrazione di tantissimi abruzzesi verso Taranto. Erano muratori e partivano per partecipare alla costruzione delle strutture murarie ed infrastrutturali dell’ILVA destinati appena concluse, a introdurci nella ristretta cerchia delle grandi potenze industriali produttrici di acciaio.

Molti di questi edili avevano un grande desiderio e speranza che concluse le opere, potessero poi rimanere stabilmente in quel luogo trasformandosi metalmeccanici. Ritenevano un privilegio partecipare stabilmente anche alla produzione dell’acciaio nella fabbrica destinata a diventare la più grande d’Europa voluta e programmata dai governanti di allora. Essa si inauguro’ nel 1965, durante il governo Moro, nel pieno del nostro boom economico; di una Italia determinata a conquistare le vette dello sviluppo nel mondo. Era anche la fabbrica emblema della industrializzazione del sud Italia e del cambiamento di benessere per decine di migliaia di meridionali che per vivere avrebbero abbandonato in soffitta le valigie della emigrazione. Per il Meridione d’Italia i governi programmarono altri investimenti: nell’elettronica, nell’automotive, nella chimica, ed in tanti altri settori che cambiarono le sorti di quei territori nel nel consenso generale e nella consapevole certezza che i cambiamenti dipendono dalla collaborazione di ciascuno. Ma giunti ad un Italia molto diversa da quella, la storia attuale dell’ex Ilva, non è altro che l’ennesima prova della dissipazione del patrimonio accumulato nel passato dall’incuria delle attuali classi dirigenti. Ed infatti i populisti non faticano, non vanno controcorrente, non intendono dire no e si che possano scontentare qualcuno.

In questa contorta e dannosa logica si possono capire i ritardi sull’equilibrio produzione ambiente. In questo contesto si è potuto affidare la produzione a chi ha interesse che se ne producesse poca rispetto al tanto che produce in India. In questa chiave si era deciso persino il rifiuto di porre al riparo di eventuali azioni giudiziarie chi era appena arrivato rispetto a responsabilità passate. Tutti comportamenti irresponsabili al di fuori dei criteri di gestione dell’economia. Ora si parla di vedere cosa fare per salvare l’ex Ilva. Ma prima credo bisognerà abbandonare con una abiura pubblica tutte le follie finora commesse se non si vuole che si possa ricominciare con le stesse modalità.

Raffaele Bonanni

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