Editoriale

Il Magnificat di Maria come programma della Chiesa della misericordia

Maria col canto del Magnificat proclama la grandezza del Signore ed esprime il programma della sua vita: non mettere sé stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo. Il canto di Maria, pone in bocca della Vergine espressioni forti e rivoluzionarie, che portano un capovolgimento radicale della sorte degli uomini. C’è una parola chiave con cui Maria interpreta la sua esperienza personale come pure l’intervento di Dio in favore dell’umanità: “misericordia”, cioè la tenerezza paterna e materna di Dio. Maria vede la sua esistenza e la storia di tutta l’umanità come avvolte e percorse dalla misericordia divina. Il rapporto di Dio con Maria si prolunga nella sua relazione d’amore con noi.

Gesù Buon Pastore, che conosce tutte le sue pecore per nome e che ha preso sulle sue spalle la pecorella smarrita per riportarla a casa, è il prototipo di ogni ministero episcopale la cui missione è quella di radunare nell’unità i figli di Dio dispersi. Fra le immagini del vescovo una che mi è cara è quella dell’asinello che portò Gesù a Gerusalemme, evocata da alcuni illustri cardinali di Santa Romana Chiesa. Il cardinale Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I scriveva: “Ho bisogno di paragonarmi all’asinello che portava Cristo il giorno delle Palme. Quello, se sentendo gli applausi della folla si fosse insuperbito e avesse cominciato a ringraziare a destra e a sinistra, quanta ilarità avrebbe suscitato!”. Il cardinale Roger Etchegaray scriveva: “Io vado avanti come l’asino di Gerusalemme che, in quel giorno della festa delle Palme, divenne la cavalcatura regale e pacifica del Messia. Io non so granché, ma una cosa so: so di portare Cristo sul mio dorso e la cosa mi rende molto orgoglioso. Io lo porto, ma è lui che mi guida. So che mi conduce verso il suo regno, dove sarò a mio agio per sempre in verdi pascoli. Io vado avanti in silenzio: è incredibile come di comprendiamo anche senza parlare! Le uniche parole che ho capito bene sembrano essere state dette apposta per me e io so quanto sono vere: ‘Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero’. Io vado avanti nella gioia. Io vado avanti come un asino che porta Cristo sul dorso“. E il cardinale Ivan Dias disse in un intervento al sinodo dei vescovi del 2001: “Al pari di quell’asino, che simboleggia l’umiltà, la docilità e il servizio, il Vescovo deve porre Gesù al di sopra di tutto nella vita poiché egli guida il suo popolo festante verso la Gerusalemme celeste”.

In ogni diocesi occorre reimpostare le relazioni, valorizzare ciò che di bello e buono si è sperimentato anche in questo tempo così difficile, sintonizzando la mente e il cuore sul positivo che c’è da cogliere. Tra i temi che hanno bisogno di maggiore attenzione sono stati ravvisati quelli dell’ascolto, dell’inclusione, dell’accoglienza, della formazione. Viene richiesta un’apertura ai problemi del territorio a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, che aiuti ad affrontare temi come la legalità per contrastare la mentalità mafiosa, la tutela del creato, l’attenzione al mondo del lavoro e alle vecchie e nuove povertà, l’impegno culturale, sociale e politico come atto di amore verso la comunità per rendere attuale il Vangelo nella nostra società. È importante un impegno comune a fare della comunità ecclesiale la famiglia di Dio che vive nella comunione a servizio della nuova evangelizzazione per costruire una città terrena nella autentica libertà dei figli di Dio, nella fraternità universale, nella pace rispettosa della giustizia, nella testimonianza della carità che rifletta l’amore del Dio vivente nella Comunione Trinitaria.

mons. Michele Pennisi

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