La libertà di parlare è una necessità individuale e comunitaria. Per attuare la sinodalità, secondo papa Francesco, occorre dire apertamente ciò che si pensa. E ascoltare umilmente quello che gli altri hanno da dire. Fondamentale, perciò, è la “parresia”. ossia il modo diretto e franco con cui i primi cristiani annunciavano il Vangelo. Il Papa ha incontrato i sacerdoti romani a San Giovanni. Nell’incontro a porte chiuse non ha tenuto un discorso. Ma ha scelto di rispondere a domande poste liberamente. “Sono qui per ascoltarvi, dite tutto quello che volete. Il tacere quando si ha qualcosa da dire è come una bomba, sentiamoci liberi di parlare“, avrebbe detto il Papa secondo quanto riferito da fonti presenti all’incontro. L’incontro è stato aperto e chiuso dalla preghiera. Alla fine il Pontefice ha detto: “Pregate per me, però a favore”. E ha invitato i circa ottocento sacerdoti romani a non cedere “alle chiacchiere”.“Parresia” e libertà di parlare aiutano anche l’ecumenismo. Il dialogo tra cristiani è al centro del Magistero pontificio. Francesco è stato il primo papa ad entrare in un Tempio evangelico valdese (22 giugno 2015), in occasione della sua visita pastorale a Torino. Durante la sua visita ha chiesto umilmente perdono ai fratelli evangelici per gli atteggiamenti e i comportamenti avuti noi loro confronti e nel corso della storia da parte della Chiesa cattolica. E ha affermato fiduciosamente di anelare alla comunione di tutti i cristiani e che l’unità si fa in cammino. L’orizzonte di una conoscenza condivisa, dunque. Le tre assemblee ecumeniche tenute a Basilea (1989), a Graz (1997) e a Sibiu (2007) non hanno prodotto quei risultati che ci si attendeva. Non è un caso che dopo la terza assemblea di Sibiu, in Romania, il processo si sia bloccato. Soltanto da qualche tempo, ma ancora troppo breve, sembra che la rigidità delle posizioni non appaia più insuperabile come in passato. Con papa Francesco sembra essere rinata la fiducia nella ripresa di un cammino fruttuoso. Inoltre, il tema della povertà del Concilio Vaticano II richiama alla mente la figura del cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, per il suo indimenticabile intervento conciliare sulla Chiesa povera e per i poveri. Suo consigliere personale e perito del Concilio era don Giuseppe Dossetti, l’ex politico democristiano poi ordinato sacerdote.Al di là di questo legame tra Lercaro e Dossetti, il tema della povertà rappresenta una porta spalancata verso la valorizzazione del protagonismo crescente delle Chiese più giovani e di quelle del Sud del Mondo. Diverse encicliche che sono state pubblicate negli anni postconciliari come la Populorum Progressio (1967) di Paolo VI. La “Sollicitudo rei socialis” (1987) di Giovanni Paolo II. La Evangelii Gaudium (2013) di Francesco stanno a dimostrare quanto sia diventato centrale e prioritario per la Chiesa il farsi carico responsabilmente dei drammi della fame, del sottosviluppo, dell’impoverimento crescente in tante periferie del mondo attuale. E’ difficile affermare che il tema del la misericordia costituisca, da solo, l’attuazione del Vaticano II. Ma rappresenta certamente un aspetto decisivo e qualificante del suo compimento. Perché sul tema della misericordia si condensa l’esperienza più alta del suo rapporto di amore e di “compassione” verso il mondo con cui è pronto a riconciliarsi. Superando la vecchia logica della condanna e dell’anatema.È importante non rendere banale lo spirito della misericordia secondo un’accezione puramente “buonista”. Perché Francesco è pienamente consapevole che stiamo vivendo in un’epoca storica particolarmente conflittuale in cui si sta combattendo una “terza guerra mondiale a pezzi“. In cui la Chiesa non può che auto-comprendersi come un “ospedale
da campo”. La nuova visione con cui la Chiesa guarda il mondo è quella di chi vuole combattere al suo fianco come “compagno di viaggio“. E non più come un Giudice che dall’alto del suo scranno punta severamente il dito verso l’imputato.