Editoriale

Lettera a un femminicida e alla società sua complice

A te che sei definito “femminicida” voglio rivolgermi perché il tuo crimine è palesemente una responsabilità personale, come dice la legge, ma tu sei anche espressione di una colpa collettiva di una società femminicida tua inconsapevole complice. Nessuna entità civile e religiosa può considerarsi immune dalla vergogna di aver rappresentato l’universo femminile come peccaminoso, meritevole di discriminazione e socialmente ed economicamente inferiore. Storicamente la figura della donna ha oscillato per secoli tra due estremi: da un lato la sacralizzazione più enfatica e la divinizzazione poetica, dall’altra la demonizzazione ghettizzante che bollava l’altra metà del cielo come fonte di conflitto e di impurità.

E così su di te che hai compiuto il più aberrante dei delitti si scaricano millenni di cultura antifemminile che hanno concorso ad armare la tua mano assassina. I mass media accendono i riflettori sulla tragicità arcaica di un gesto odioso per poi far piombare nuovamente la cappa di indifferenza e di omertà che avvolge la violenza quotidiana sulle donne. E tu, pur essendo figlio di donna, non riesci a comprendere che uccidere la donatrice di vita equivale a soffocare l’umanità intera nella sua potenzialità di futuro. Nessuno si interroga sul fallimento educativo che si annida dietro ciascun femminicidio.

Le agenzie formative hanno mai realmente compreso l’abisso in cui precipitavi? Perché nessuno si è accorto del tuo patologico desiderio di possesso? Come mai non hai imparato ad accettare un diniego? E’ possibile che neppure le lacrime della tua vittima ti abbiano sfiorato il cuore offuscato da una visione distorta e malata dell’affetto? Ma tu, come puoi continuare a scagliare la pietra contro una creatura inerme, posta dalla creazione a fondamento del succedersi delle generazioni? Purtroppo altri cadranno in questo inferno finché non verrà sconfitta la cultura di morte che provoca la soppressione della vita femminile fin dal grembo materno. Dagli aborti selettivi nelle nazioni più popolose allo sfruttamento delle bambine lungo la Via Crucis della tratta, alla discriminazione di genere che, in alcune zone del mondo imprigionano “il genio femminile” (secondo la definizione di Karol Wojtyla). Tutto ciò si materializza tristemente nell’istruzione negata, nei matrimoni combinati, nella prostituzione coatta, nell’esclusione dalla vita pubblica.

Tu forse non lo sai, ma sei diventato come coloro che in giro per il pianeta sfregiano, sfigurano e ridicolizzano la femminilità che non capiscono né meritano. Ma la bellezza non si rapina, non si compra, non si deturpa con una violenza che rivela debolezza, fragilità, disumanità. La lacerazione che infliggi al corpo e all’anima della donna crocifissa è una sconfitta individuale e collettiva che grida al Cielo tutta la sua disperata ingiustizia. Non c’è però tenebra tanto oscura da impedire alla misericordia divina di rischiararla. Il mondo inizia a cambiare quando il pugno si apre in una carezza. La conversione comincia laddove la maschera di sopraffazione e disprezzo lascia il posto alla sincera invocazione di perdono.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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