Editoriale

L’alveare di Santa Rita e la missione di Pietro

A soli 5 giorni di vita, mentre riposava all’ombra di un albero, uno sciame di api circondò la testa di Santa Rita senza pungerla, anzi alcune di queste entrarono nella sua bocca, aperta, depositandovi il miele. Nel frattempo, un contadino che si era ferito con la falce ad una mano e stava correndo a Cascia per farsi medicare, passando davanti al cesto che conteneva la neonata si mise a scacciare le api e, man mano che scuoteva le braccia, la ferita si rimarginava fino a guarire completamente. Nei giorni scorsi papa Francesco ha inviato una lettera alla priora del monastero Santa Rita di Cascia per ringraziare le monache che dopo la festa della “patrona della cause impossibili” gli avevano inviato le rose benedette. Quale segno di vicinanza e di gratitudine per la preghiera a sostegno del mio ministero, benedico lei e l’intera comunità monastica, i padri agostiniani e le Apette dell’Alveare di Santa Rita- scrive il Pontefice- Ringrazio lei e le consorelle per il messaggio che mi avete fatto giungere unitamente all’omaggio delle rose benedette, simbolo dei cinque continenti, che ho deposto ai piedi della Madonna. L’intercessione della Mamma del cielo e della Santa dei casi impossibili ci ottenga di adempiere alla volontà di Dio a cui tutto è possibile”. Il Papa auspica che “i fratelli e le sorelle segnati dall’afflizione riprendano ad affluire a codesta oasi di pace per intraprendere nuove strade verso la verità che ci fa liberi”. “A nome delle Comunità Agostiniane di Cascia ringrazio commossa papa Francesco per la bella lettera che ci ha inviato- afferma la priora suor Maria Rosa Bernardinis -. Siamo grate al Santo Padre per ogni parola e lo sentiamo vicino. In modo particolare ci ha toccate la sua benedizione per le nostre Apette, come chiamiamo con affetto le bambine e le ragazze provenienti da famiglie in difficoltà economica e sociale, che da oltre 80 anni accogliamo e cresciamo nell’Alveare di Santa Rita, parte del nostro monastero”. La benedizione di Papa Francesco per le Apette arriva in occasione dell’evento “Porte aperte all’Alveare” organizzato in diretta streaming multicanale deulle pagine social Alveare di Santa Rita, sul canale YouTube Santa Rita da Cascia Agostiniana e sul sito istituzionale santaritadacascia.org.

Quello di Francesco, come analizzato da don Aldo Buonaiuto, non è pauperismo, bensì conciliazione tra contemplazione e azione, preghiera e carità. E le origini della missione petrina sono profondamente radicate nella storia dell’Ecclesia. Durante il Grande Giubileo del 2000, Karol Wojtyla disse: “Una nuova stagione si apre dinanzi ai nostri occhi: è il tempo dell’approfondimento degli insegnamenti conciliari, il tempo della raccolta di quanto i Padri conciliari seminarono e la generazione di questi anni ha accudito e atteso. Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato una vera profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena iniziato”. Parole scandite da san Giovanni Paolo II il 27 febbraio 200 nel discorso al convegno internazionale sull’attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II. Sulla scia del suo predecessore polacco da lui canonizzato, Francesco esorta “pastori e fedeli laici ad avere nel cuore la stessa ansia di vivere e attuare il Concilio e portare al mondo la luce di Cristo”. Per comprendere quanto ci sia di conciliare nel pontificato del primo papa che non ha partecipato al Vaticano II, è utile inquadrare la questione attraverso la riflessione di  padre Gianpaolo Salvini, gesuita, per 26 anni direttore della rivista La Civiltà Cattolica, le cui bozze sono riviste dalla Segreteria di Stato vaticana. L’accostamento di papa Giovanni e di papa Francesco, secondo padre Salvini, è stato naturale e spontaneo sin dai primi giorni dell’attuale pontificato, anche se ogni papa ha una sua personalità e un suo stile irripetibile. L’analogia viene dal modo di presentarsi e di comunicare, molto semplice e spontaneo, dall’attenzione all’aspetto pastorale di una Chiesa che viene incontro alla gente. Per quanto riguarda il Concilio, Francesco ha ricreato molto dell’atmosfera di entusiasmo che si creò all’inizio del Vaticano II, per una Chiesa che si metteva in movimento, che abbandonava atteggiamenti ingessati nei secoli. E aggiunge di aver pensato a quanto diceva il cardinale Carlo Maria Martini circa un nuovo spirito del Concilio. Frase che molti giornalisti e analisti di questioni ecclesiali interpretarono come un invito ad indire un nuovo Concilio. Ma il cardinale Martini specificò almeno due volte che non auspicava nuovi Concili (anche perché, aggiungeva, non è stato ancora digerito il Vaticano II), ma che si creasse nuovamente l’entusiasmo e la fiducia in una Chiesa che sa rinnovarsi come era avvenuto al Concilio, e che si è poi andato smorzando durante il post Concilio. Una visione non pessimista circa la Chiesa in Europa, anche se meno creativa e vivace di quelle dei continenti nuovi. Per padre Salvini influisce l’idea perenne che l’erba nel giardino del vicino è sempre più alta e più verde. Ma anche la Chiesa europea presenta aspetti affascinanti. Non a caso molti sacerdoti di altri continenti vengono in Europa per studi e non vogliono più ripartirne. E non si tratta soltanto del migliore trattamento economico. È però vero che Chiese latinoamericane e africane hanno un dinamismo che nel vecchio continente sembra essere andato perduto. L’Europa ha solide strutture, create pazientemente nei secoli, che i cattolici temono di perdere, mentre hanno perso molto dello slancio missionario. Le Chiese nuove, infatti, hanno poco da perdere, spesso conoscono direttamente la persecuzione e il martirio (come all’inizio del cristianesimo) e sono molto più creative: sono continenti in costruzione. In Europa, secondo il teologo gesuita, le Chiese sono molto sulla difensiva e sulla preservazione dell’esistente e sembrano meno fiduciose sull’opera di Dio nella storia. E certamente Francesco è simbolo di questa vitalità e dello spirito latinoamericano che più che della esatta formulazione dogmatica, tanto cara agli europei, si preoccupa della traduzione in azione e testimonianza del messaggio evangelico. Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo e dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione, non da un Concilio o da un altro. Vivendo in un determinato momento storico il papa è però certamente chiamato a realizzare un evento così importante e significativo come è stato il Vaticano II, opera di tutto l’episcopato mondiale che ne ha approvato i documenti quasi all’unanimità e che tutti i papi hanno preso come punto di riferimento.Per papa Francesco, che non ha partecipato al Concilio, esso è un dato di fatto che egli dà per acquisito. Secondo padre Salvini, però, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono posti tutti nella linea del Vaticano II, cercando di attuarne le novità. Con la canonizzazione di Giovanni XXIII che aprì il Concilio e di Giovanni Paolo II che l’ha vissuto intensamente, ai quali ha aggiunto l’inattesa canonizzazione di Paolo VI (che ha chiuso degnamente il Vaticano II e più ha sofferto per farlo realmente recepire), di fatto Francesco ha “canonizzato” il Concilio nelle figure dei suoi protagonisti e attuatori. Inoltre, per Benedetto XVI non si può parlare di beatificazione perché è ancora vivo, ma la sua fedeltà al Concilio è indubbia e le sue riserve su alcune conseguenze non desiderate del Concilio, come in fatto di liturgia, non modificano una linea di sostanziale fedeltà allo spirito del Concilio, con buona pace di coloro che speravano che con papa Ratzinger la Chiesa facesse, almeno parzialmente, marcia indietro. Ma, a giudizio di padre Salvini, non si può dire che un papa è più conciliare dell’altro: ciascuno, in questi cinquant’anni, ha portato un suo stile e una sua sensibilità, ma sempre nella scia conciliare.Giovanni Paolo II, puntualizza l’ex direttore de La Civiltà Cattolica, è stato un grande missionario e un evangelizzatore a livello mondiale, simbolo (anche fisicamente, sinché ha avuto buona salute) di una Chiesa che nello smarrimento del mondo moderno, ha certezze da dare e splende come un faro nella notte, trasformandosi in fiaccola che va a portare luce nei suoi viaggi e nei suoi infiniti contatti. Alla sua grande apertura sui problemi sociali, infatti, ha fatto riscontro una certa rigidità sui problemi familiari e morali, sia per la sua formazione sia per il timore, forse, che aprendo delle brecce in questi campi, franasse poi tutto un edificio morale costruito nei secoli. La personalità dei papi, come di tutti, è complessa e non è mai di un colore solo. Benedetto XVI ha portato alla Chiesa e al mondo la sua profonda preparazione teologica e di pensatore, cercando di riportare all’essenziale il messaggio evangelico, che talvolta sembra dissolversi nella cultura moderna. Ma la sua immagine è stata spesso travisata: ci sono state condanne, a destra e a sinistra, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ma non con Benedetto XVI, assai più attento al pluralismo del pensiero teologico di oggi e al dibattito teologico che ha bisogno di libertà. Nella pastoralità dell’azione di Francesco e nello sforzo del dialogo con il mondo moderno e anche con i lontani, che alle volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi, che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù che frequentava pubblicani e stranieri e accettava gesti di venerazione da prostitute, secondo padre Salvini quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei, verso le Chiese non cattoliche e anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni, riconoscendo “semi del Verbo”, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede. Le radici conciliari del pontificato di Francesco il suo confratello della Compagnia di Gesù le ritrova nella povertà che è al centro del Vangelo e in un filone di testimonianza mai interrotto nella storia della Chiesa: ogni movimento religioso, come quello benedettino, francescano, gesuita ha sempre posto la povertà come fondamento della propria spiritualità. “Non direi purtroppo che la pratica abbia sempre mantenuto lo spirito iniziale- osserva padre Salvini-. E la misericordia è l’attuazione della Scrittura che viene ora riscoperta come fosse una novità”. È innegabile l’affievolirsi nei secoli del messaggio di misericordia divina che invece pervade tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. Forse a molti è sembrato che un Dio che prova compassione venisse impoverito. E troppo spesso è stata attribuita a Dio la concezione umana di giustizia, che non è la sua, per fortuna degli uomini. Il Vaticano II ha contribuito a questa riscoperta, ma anche gli studi posteriori ad esso. Lo slancio che porta a Dio e quello che porta al prossimo, sia come singolo che nelle strutture sociali che l’umanità ha creato, è lo stesso, come il Vangelo e il Concilio documentano. La tentazione è da sempre quella di dividere le due cose, mentre l’impegno nell’una è la verifica della bontà dell’altro.

 

 

Giacomo Galeazzi

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