Quella base comune silenziosa che tiene in piedi la nostra società

L’ondata di nuovi contagi che continua a crescere spaventa perché fa tornare alla memoria ciò che abbiamo vissuto – direttamente o indirettamente – durante i tre mesi di lockdown. Gli ospedali in affanno, medici e infermieri stremati, i nostri anziani solo e indifesi all’interno delle case di riposo, i disabili e le loro famiglie in difficoltà a causa dello stop ad alcuni servizi; le migliaia e migliaia di vittime causate dal coronavirus, molte delle quali sono state trasportate in altre città perché gli obitori erano pieni da colonne di mezzi dell’esercito.

Serve massima attenzione da parte di tutti, è necessario rispettare le regole e delle norme che ci vengono date dai nostri governanti. Rispettare la nostra salute, ma soprattutto quella degli altri. Come diceva anche il Vangelo di domenica scorsa, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, anche Dio vuole che diamo a lui il dono della vita. Dobbiamo fare di tutto per quello che è possibile da parte nostra, di prevenire quindi come è stato nel primo lockdown, uscire per le cose essenziali, fare dei sacrifici.

Questo ci aiuterà a venirne fuori e a tornare a una vita normale, ma soprattutto difende le categorie più fragili, come i nostri anziani che sono nelle case di cura dove purtroppo stanno tornando cluster e contagi di gruppo. Bisogna pensare anche ai portatori di handicap che hanno diritto a una vita sociale, ma se continuiamo ad avere dei comportamenti irresponsabili questa ripresa si allontanerà sempre di più.

La tutela passa dalla nostra responsabilità, dalla nostra scelta del bene comune. Servirebbe anche un investimento da parte dello Stato per sostenere le famiglie, agli anziani e ai disabili, ma anche a quelle strutture diurne, centri aggregativi dei corpi intermedi che permettono una vita di relazione significativa.

La pandemia e le tante vittime che il coronavirus ha causato nel mondo ci devono far riscoprire la sacralità e il rispetto della vita. Dall’altra parte questa emergenza sanitaria ci ha fatto percepire in modo ancora più chiaro la nostra precarietà, la nostra creaturalità. In tanti frangenti, però, la vita continua ad essere massacrata: nelle guerre, nel grembo materno, quando le donne vengono violentate o uccise.

Purtroppo questa pandemia, che è un’esperienza di morte, ci dovrebbe far riflettere e risvegliare in noi il senso e la scelta della vita. Non è ancora così, anche se si stanno mobilitando tantissime risorse e persone. Pensiamo agli ospedali, medici, infermieri, alle scuole, agli insegnanti, ai parroci, ai volontari, in molti hanno dato la vita. C’è una base comune molto silenziosa, che lavora e tiene in piedi questa società. Purtroppo ci sono delle frange non curanti. Speriamo che quando arriverà il vaccino ci sia una scelta oculata di partire dagli ultimi, da coloro che ne hanno più bisogno e via via, sperando di arrivare a tutti.