Presunti favori, ai domiciliari il procuratore di Aosta

Su richiesta della Procura della Repubblica di Milano, competente per territorio, è stato posto agli arresti domiciliari il procuratore capo della Repubblica di Aosta Pasquale Longarini. L’inchiesta, condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, ha portato gli inquirenti a contestare al magistrato il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, in base all’articolo 319 quater del codice penale. L’indagine è coordinata dal pubblico ministero Roberto Pellicano e dal procuratore aggiunto Giulia Perotti.

Ai domiciliari è stato posto anche un imprenditore, Gerardo Cuomo, titolare del caseificio valdostano. Nei prossimi giorni sarà fissato l’interrogatorio di garanzia per entrambi. Secondo gli inquirenti, il magistrato avrebbe passato informazioni a Cuomo di carattere giudiziario o amministrativo.

Negli anni scorsi, da pubblico ministero, Longarini si era occupato tra gli altri casi dell’inchiesta sul delitto di Cogne, nel 2002, e in precedenza, negli anni Novanta, dello scandalo del voto di scambio in Val d’Aosta. Nel 2015 aveva anche aperto un fascicolo d’indagine sulla nuova funivia Skyway del Monte Bianco. Era diventato procuratore capo facente funzione lo scorso 13 dicembre, dopo il passaggio di Marilinda Mineccia alla guida della Procura di Novara.

Il reato ipotizzato dagli investigatori è stato introdotto con l’entrata in vigore della cosiddetta legge anticorruzione del novembre 2012. L’articolo 319 quater è suddiviso in due commi: il primo, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce con la reclusione da tre a otto anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che “…abusando della sua qualità o dei suoi poteri induce taluno a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo, denaro o altra utilità…”. Il secondo comma, in modo del tutto innovativo, va a colpire con la reclusione sino a tre anni la condotta di chi, nei casi previsti dal primo comma “…dà o promette denaro o altra utilità…”. Si tratta in pratica di un reato meno grave della concussione. Secondo diversi pronunciamenti della Corte di Cassazione, il reato si consuma quando il pubblico ufficiale “ponga in essere nei confronti del privato un’attività di suggestione, di persuasione, di pressione morale che, pur avvertibile come illecita non ne annienta la libertà di autodeterminazione”.