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Il colpo di Stato in Sudan e la profezia di Paolo VI

Sono parole di quasi sei decenni fa. Ma sembrano pronunciate poche ore fa. “Purtroppo una bufera violenta ha ora scompaginato ogni cosa. Lasciando le pecorelle senza il pastore. Paralizzando le opere. Seminando angoscia e inquietudine“. Non c’è pace in Sudan. Gli Stati Uniti hanno sospeso l’erogazione al martoriato paese africano di aiuti finanziari per 700 milioni di dollari. A seguito del colpo di Stato che ha rovesciato il governo di transizione democratica. Il portavoce del dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha sollecitato l’immediato ripristino del governo civile. E ha chiesto ai militari la liberazione dei politici arrestati. E la garanzia della loro incolumità. Al contempo, Price ha ammonito i golpisti di “non ricorrere alla violenza contro i manifestanti”. I militari hanno già ucciso e ferito persone scese in piazza. Usando il pugno di ferro reprimere le proteste contro il golpe.

Colpo di stato in Sudan (Fonte: @Twitter)

Sudan senza pace

Ad essere intrise di sangue e violenza sono purtroppo le radici stesse di una nazione costantemente in stato di tensione. Paolo VI accolse 57 anni in Vaticano i missionari e le missionarie espulsi dal Sudan. Papa Montini rivolse loro un accorato discorso che riletto oggi risulta profetico. Il Pontefice canonizzato da Francesco esprime “tristezza e commozione”. Per i fedeli delle missioni. Per le opere di assistenza e di educazione forzatamente abbandonate. Deplora una “così grave crisi“. Ricorda coloro che “sono rimasti laggiù. A mantenere con impari forze accesa una fiamma. Una fiamma che deve continuare ad ardere. E a far luce”.

Ansie e fatiche

“Come non rattristarsi al veder concludersi così dolorosamente un secolo di generose fatiche e di ansie apostoliche?- si chiese San Paolo VI-. La Chiesa cattolica ha diffuso instancabilmente l’insegnamento di Cristo. Portando con esso l’ordinato progresso civile. Culturale. E sociale. La Chiesa cattolica ha incrementato le opere di istruzione. Di assistenza e di carità. Cementando il popolo nei vincoli della vera pace. E della mutua costruttiva concordia. Solo questo è stato il suo programma. Fedele alla sua missione unicamente spirituale e benefica. Non desiderio di supremazia. Non cupidità di dominio. Non ricerca di interessi materiali. Ma il bene di quelle popolazioni. Amate come il proprio sangue“.  Una situazione allora come oggi che “contrasta al buon nome ed al civile progresso della nazione. E che lede i sacri e comuni diritti della giustizia e della libertà. E “questo lamento sorge dalla voce della triste realtà delle cose. Ogni obbiettivo osservatore può rendersi conto di ciò”, sottolineò Paolo VI.

Oggi come ieri

”Il golpe in Sudan si respirava nell’aria da tempo. Tutti temevano questi eventi”, racconta a Tv2000 il vescovo di Rumbek in Sud Sudan. Aggiunge monsignor Christian Carlassare: “C’è molta preoccupazione per ciò che sta accadendo in queste ore. Non si sa ancora cosa succederà in Sudan. C’era molta speranza nel governo appena formato. Si pensava che fosse un governo laico. Progressista. E aperto all’ascolto delle istanze della popolazione. Era un governo di unità nazionale. E quindi di preparazione ad un futuro più democratico. All’interno del Paese purtroppo erano rimasti dei gruppi.  Dei rimasugli di quanto c’era già prima. Persone fedeli ai governi precedenti”. In Sudan, dunque. la sofferenza di oggi arriva da lontano.

Il premier del Sudan, Abdalla Hamdok

Stato di emergenza

Non si fermano, dunque, le proteste in Sudan contro il colpo di stato militare. La capitale Khartoum è nel caos. Dopo che i soldati hanno aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendo almeno tre persone. La giunta golpista ha dichiarato lo stato di emergenza. E ha sciolto il governo. Scatenando appunto la rapida condanna degli Stati Uniti. Gli Usa hanno sospeso gli aiuti. E hanno chiesto il ripristino del governo civile. Le Nazioni Unite hanno sollecitato il “rilascio immediato” del primo ministro. E il Consiglio di sicurezza si riunirà martedì per discutere della crisi. L’annuncio del generale Abdel Fattah al-Burhan è arrivato dopo che le forze armate hanno arrestato i governanti. Cioè i leader politici che stavano guidando la transizione verso un pieno governo civile. Dopo il rovesciamento dell’autocrate Omar al-Bashir nell’aprile 2019.

Giacomo Galeazzi

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