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Space economy e diplomazia spaziale. Intervista all’esperta Simonetta Di Pippo

Il nuovo anno è cominciato con lo sguardo rivolto verso l’alto, oltre cielo. Il 2024 si è aperto con la notizia della missione privata Axiom-3, a bordo anche il colonnello dell’Aeronautica militare italiana Walter Villadei, in partenza per la Stazione spaziale internazionale, su un razzo Falcon 9 della Space X, l’azienda aerospaziale di Elon Musk. Ventuno giorni lassù, dal decollo del 19 gennaio dal Kennedy Space Center a Cape Canaveral, negli Stati Uniti, all’ammaraggio della navetta Crew Dragon Freedom nelle acque del Golfo del Messico, al largo della Florida, il 9 febbraio. L’obiettivo, compiere esperimenti, dalla verifica dell’effetto della microgravità sul funzionamento delle cellule che rivestono le pareti interne dei vasi sanguigni a quello sulla proteina beta amiloide, in ottica di prevenzione e cura delle malattie neurodegenerative. Il volo spaziale è stato definito “un esempio di ecosistema” per lo sviluppo della space economy italiana dal generale Franco Federici, consigliere militare del Presidente del Consiglio e segretario del Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e all’aerospazio (Comint). L’economia dello spazio, il nuovo capitolo della storia dell’era spaziale con ancora tante pagine da scrivere.

Economia spaziale

In tanti vogliono scriverne almeno un paragrafo. Ci sono infatti 130 agenzie governative, 150 centri di ricerca e sviluppo e 10mila aziende che operano nello spazio e per lo spazio, riporta il documento “Civiltà dello spazio. Space Economy, Space Industry, Space Law” realizzato da Fondazione Leonardo, Space Economy Evolution (SEE) Lab di SDA Bocconi School of Management e Università La Sapienza. Un settore, quello dell’economia spaziale, dal valore di quasi 550 miliardi di dollari e dall’importanza sempre crescente grazie ai servizi di navigazione, telecomunicazione e telerilevamento destinati a utenti sia pubblici che privati. Non solo, perché l’utilizzo dei dati satellitari è un fattore di innovazione per molte aziende e per molti scopi, come le tecniche di rilevamento remoto che consentono il monitoraggio dell’ambiente terrestre, marino e atmosferico. Una delle principali traiettorie di sviluppo è la creazione di valore nello spazio, ovvero la produzione di beni e servizi nello spazio per l’uso nello spazio che sarà sempre più “battuto” dagli esseri umani.

L’intervista

Per capire cosa sia la space economy e quali possano essere le opportunità di sviluppo, Interris.it ha intervistato Simonetta Di Pippo, Professor of Practice di Space Economy e Direttore dello Space Economy Evolution Lab (SEE Lab), in SDA Bocconi, per otto anni direttore dell’Ufficio delle Nazioni unite per lo spazio extra-atmosferico. Come riconoscimento del suo contributo alle attività spaziali, nel 2008 l’Unione astronomica internazionale ha nominato l’asteroide 21887 “dipippo”. Due anni prima, nel 2006, era stata insignita dell’onorificenza titolo di Cavaliere ufficiale al merito dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, mentre nel 2022 ha ricevuto il titolo di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dall’attuale capo di Stato Sergio Mattarella. Il suo ultimo libro è “Luna, laboratorio di pace”, edito da Egea.

Perché andiamo nello spazio?

“Per un desiderio di conoscenza, per espandere la nostra presenza come specie umana nel sistema solare, per migliorare la qualità della vita sulla terra, per utilizzare la ricerca scientifica e tecnologica anche in altri settori, per accelerare un processo di sviluppo socio-economico sostenibile. Il settore spaziale è un settore ad alto tasso di innovazione, trascina con sé giovani attratti da un sentimento di compartecipazione a progetti di respiro globale, con l’obiettivo di costruire un futuro migliore per il nostro pianeta e per le future generazioni. Ora che sappiamo che ci sono risorse su altri corpi del sistema solare che potremmo sfruttare sulla Terra, che potremmo provare a curare delle malattie grazie alla ricerca spaziale, che possiamo gestire meglio i disastri naturali e non solo grazie ai dati satellitari, e così via, potremmo mai decidere di rimanere confinati sul nostro pur splendido pianeta Terra? Siamo una società spaziale, usiamo centinaia di satelliti a testa, ogni giorno, e le infrastrutture spaziali sono ormai divenute critiche per la nostra stessa sopravvivenza”.

Dopo lo sfruttamento delle risorse terrestri, è la volta di quelle spaziali?

“L’estrazione di risorse minerarie dagli asteroidi e da altri corpi del sistema solare sarà uno dei settori che contribuirà di più ad uno sviluppo dell’economia spaziale a tanti zeri. Solo un esempio, l’asteroide 16 Psyche ha valore al momento stimato di 70mila volte l’intero valore dell’economia globale. La Nasa ha da poco inviato una sonda che si chiama appunto Psyche e che andrà a caratterizzarlo in modo da capire meglio di che cosa è composto”.

Quando e come è avvenuto il passaggio da corsa allo spazio a space economy?

“L’avvio dell’era spaziale è stato il frutto di una corsa alla supremazia tra due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti. I sovietici hanno inanellato una serie di successi, come il primo satellite artificiale mai lanciato, Sputnik, il 4 ottobre 1957 e il primo uomo in orbita terrestre, Yuri Gagarin, il 12 aprile del 1961, prima dello ‘scacco matto’ inferto dagli americani con i primi due esseri umani sulla Luna il 20 luglio 1969. Man mano che le tecnologie sono diventate più mature, a cominciare dal settore delle telecomunicazioni satellitari, si è aperto il mercato commerciale e oggi degli oltre 12mila satelliti in orbita oltre il 90% sono commerciali. In parallelo, l’uso del dato e delle infrastrutture spaziali è stato progressivamente reso possibile anche per i paesi che un asset spaziale in orbita non ce l’hanno, rendendo più fruibile lo spazio e aprendo la strada allo sviluppo di servizi e applicazioni in praticamente tutti i settori della nostra vita giornaliera. Un numero sempre maggiore di attori, dunque, sia pubblici che privati, che però, mentre hanno svolto, e continuano a svolgere, un ruolo chiave per lo sviluppo della space economy, hanno anche aperto la strada a competizioni non presenti in precedenza. Oggi oltre 90 paesi hanno avuto almeno un satellite in orbita e le alleanze internazionali si muovono, a geometria variabile, ma abbastanza polarizzate, intorno a Stati Uniti e Cina, che ha percorso la strada dei successi spaziali, uno dopo l’altro, al galoppo. La space economy è uno dei settori trainanti delle economie mondiali e sottende ad una seconda corsa allo spazio, con attori diversi dalla prima, dove interessi politici, strategici, sociali ed economici si incastrano in modo indissolubile dando vita alla realizzazione di un ventaglio di progetti e soluzioni. Un momento di grande fermento, tra collaborazione e competizione”.

Quanto vale il comparto dell’economia spaziale?

“Nel 2022, il valore su scala globale dell’economia dello spazio è stato pari a 546 miliardi di dollari. Questo risultato, con una crescita consistente in termini percentuali rispetto al 2021, è il risultato della combinazione tra investimenti pubblici e privati, diviso in due settori principali: l’upstream; quindi, tutto ciò che consente l’accesso allo spazio, e il downstream, vale a dire l’insieme delle attività in termini di servizi applicazioni che usano dati e infrastrutture spaziali sulla Terra. Se guardiamo agli sviluppi futuri, gli analisti indicano un valore stimato di oltre un trilione di dollari nel 2040, anche se il tasso di crescita annuale è più alto di quanto prospettato quando questa stima è stata fatta, e quindi potremmo trovarci di fronte ad un valore sottostimato e l’economia spaziale potrebbe avere una impennata. Dipenderà da diversi fattori, ma è uno di quei settori che sembra inarrestabile”.

Come evitare che si arricchiscano solo i Paesi più potenti?

“La space economy rappresenta la spina dorsale delle economie mondiali, soprattutto quelle improntate alla sostenibilità. Molti dati provenienti da asset spaziali sono gratuiti, come i segnali che provengono dai sistemi Global Navigation Satellite Systems (Gnss) – lo sono il Gps americano o il Galileo europeo – così come la Commissione europea assieme all’European space agency hanno optato per una politica di fornitura dei dati di Osservazione della Terra della costellazione Copernicus aperta e gratuita. Basta fare il training per imparare ad utilizzare i dati così anche da poter sviluppare servizi e applicazioni anche tagliati sulle esigenze del paese interessato. Ecco perché i processi di capacity building – in pratica, dello sviluppo delle competenze – nei Paesi emergenti e in via di sviluppo sono così importanti. Oggi l’accesso allo spazio è più democratico perché i costi sono scesi, le tecnologie sono miniaturizzate, i processi sono ottimizzati, grazie anche all’avvento dei privati”.

Prima gli Stati erano gli esclusivi protagonisti della corsa allo spazio, negli ultimi vent’anni sono emersi attori come Elon Musk con SpaceX e Jeff Bezos con Blue Origin. Corriamo il rischio di una “privatizzazione” dello spazio?

“Non ci dobbiamo meravigliare, succede in realtà in tantissimi settori, come ad esempio la gestione del traffico su rotaie o l’aviazione. Pur considerando le differenze, siamo esattamente nella stessa situazione. Le tecnologie sviluppate con fondi pubblici diventano sempre più mature, come quelle che consentono l’accesso e la permanenza in orbita bassa terrestre. Ecco, quindi, che sviluppare un approccio commerciale sulle due direttrici, spazio per lo spazio e spazio per la Terra, diviene quasi un processo naturale. Musk e Bezos lo hanno solo capito prima di altri, ma la space economy è appena partita”.

Il suo ultimo libro si intitola “Luna, laboratorio di pace”. Lo scenario geopolitico terrestre ci mostra crisi e conflitti, l’”astropolitica” ci può dare l’occasione di far sì che lo spazio sia un laboratorio di pace?

“Il settore spaziale ha mostrato capacità di agire come collante diplomatico, per ragioni complesse anche di interdipendenza. Un fulgido esempio di diplomazia spaziale è la Stazione spaziale internazionale, dove paesi non necessariamente amici sulla Terra continuano a collaborare e ad operarla. La Luna non presenta confini, e potrebbe svolgere un ruolo di laboratorio per provare nuovi schemi di convivenza civile. D’altra parte, parliamo dell’umanità che si espande nel sistema solare. Dobbiamo lavorare affinché si parta almeno da un riconoscimento reciproco delle attività in procinto di essere realizzate sulla Luna e da un set di principi di base su cui costruire un sistema che non generi conflitti. Ci vuole diplomazia, soprattutto preventiva”.

Lorenzo Cipolla

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