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Il rifiuto della violenza e l’ispirazione alla pace che ci insegna il 25 aprile

L’Anniversario della Liberazione d’Italia, noto anche come Festa della Liberazione, è una festa nazionale della Repubblica Italiana, che si celebra ogni 25 aprile per commemorare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista.

Una Resistenza di popolo

La storia della Resistenza italiana è stata quella di un popolo, nei suoi vari aspetti culturali, sociali e politici. Alla stessa presero parte brigate di cattolici, monarchici e liberali, comunisti e socialisti tutti impegnati a combattere il fascismo. Era l’anima più vera e composita del popolo italiano che si sollevava in un anelito di libertà. Tra i cattolici vi fu ad esempio Teresio Olivelli, beatificato nel 2018, sottotenente degli Alpini ucciso il 17 gennaio 1945 a 29 anni nel campo di concentramento di Hersbruck, in odium fidi perché aveva fatto scudo con il suo corpo al pestaggio di un prigioniero ucraino. Prima di essere arrestato, si era unito alla Resistenza e nel 1944 aveva scritto la Preghiera del Ribelle, manifesto dei cattolici che presero parte alla lotta partigiana. Interris.it, in merito al significato, agli insegnamenti ed al valore attuale del 25 aprile, ha intervistato il professor Agostino Giovagnoli, docente ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore di molteplici pubblicazioni.

Teresio Olivelli (immagine tratta da Famiglia Cristiana)

L’intervista

Cosa significò per l’Italia il 25 aprile?

“Il 25 aprile per l’Italia ha significato la liberazione, dalla morsa nazifascista che ormai – da quasi due anni – stringeva, soprattutto l’Italia settentrionale, anche con una grande violenza.  I cittadini italiani che non si riconoscevano in esso si sono ribellati, hanno assunto la responsabilità – in molti modi diversi – di contrastare l’oppressione nazifascista contribuendo così anche alla fine della guerra, insieme naturalmente al ruolo fondamentale svolto dagli Alleati”.

Quali sono i valori che ci ha trasmesso la Liberazione?

“Il valore fondamentale che ci ha trasmesso la Liberazione è la rivolta contro la violenza del totalitarismo nazifascista. La violenza che si è espressa nella politica del fascismo e del nazismo e che è stata anche all’origine della guerra. La Resistenza italiana – e, più in generale, tutta la Resistenza europea, perché quella italiana fece parte di una più ampia Resistenza europea – ha rappresentato una espressione forte di opposizione al grande male che si era impadronito dell’Europa e di aspirazione profonda alla pace. Coloro che hanno partecipato alla Resistenza sono stati molto diversi tra di loro, c’è stata una Resistenza armata ed una non armata. La seconda si è espressa soprattutto nella protezione delle vittime, dei più deboli, della popolazione inerme, delle donne e dei bambini. Tale Resistenza è stata fondamentale, anche perché quella armata ha avuto un enorme bisogno di essere sostenuta dall’atteggiamento diffuso di una popolazione che rifiutava la violenza e desiderava la pace. Resistenza e desiderio di pace sono state due facce della stessa medaglia”.

Quale fu il ruolo dei cattolici nella lotta partigiana?

“Il ruolo dei cattolici nella Resistenza è stato molto importante – anche se è stato sottovalutato – perché si è concentrata tutta l’attenzione sulla resistenza armata. I cattolici hanno sempre avuto dubbi su tale forma di resistenza – di carattere morale – perché, seppur in una prospettiva difensiva l’uso delle armi è comunque qualcosa che purtroppo alimenta il circuito di violenza. Ciò non toglie che ci siano stati dei cattolici i quali hanno combattuto e sono morti per partecipare alla Resistenza. Oltre a ciò, c’è stata una larga partecipazione dei cattolici alla Resistenza non armata, compresi anche i sacerdoti ed i religiosi, perché spesso sono stati i parroci ad interporsi tra la violenza dei fascisti e dei nazisti e la popolazione stessa. Ci è voluto grande coraggio anche ad attuare questo tipo di resistenza non armata anzi – a volte – maggior coraggio di quella armata. A ciò bisogna aggiungere anche il ruolo dei Vescovi i quali – in molti casi – hanno evitato, per esempio a Milano, che si arrivasse ad uno scontro finale dentro le città che sarebbe stato terribile e devastante.In questo modo hanno permesso di concludere la vicenda della guerra risparmiando enormi dolori alla popolazione”.

La firma della Costituzione della Repubblica

Che impronta ha lasciato il 25 aprile sulla nostra Costituzione?

“La nostra Costituzione è antifascista. Lo dico perché durante l’Assemblea Costituente se ne discusse apertamente e fu proprio Aldo Moro a dire che non bastava una Costituzione afascista, ossia semplicemente non fascista, ma occorreva una Costituzione antifascista in quanto il fascismo è violenza ed è incompatibile con la democrazia. Dunque, l’Italia, che è voluta rinascere democratica, non poteva non nascere antifascista. A volte lo dimentichiamo, come se la democrazia non fosse sempre frutto di scelte dolorose nonché di grandi battaglie e di grandi fatiche come quelle che la parola antifascismo riassume. Dobbiamo ricordarci che molti italiani avevano appoggiato il fascismo, avevano espresso il loro consenso nei confronti del regime e dunque occorreva prendere le distanze da tale eredità: è ciò che ha voluto fare la Costituzione. In seguito a ciò, nei decenni successivi, questa consapevolezza antifascista, si è progressivamente allargata a buona parte della società che era stata fascista, anche se – purtroppo – non sempre questa consapevolezza è stata condivisa da tutti e oggi è un po’ dimenticata, come se si potesse vivere una democrazia oggi in Italia senza ricordare l’antifascismo”.

Nel difficile frangente storico che stiamo vivendo che insegnamento dobbiamo trarre dal 25 aprile?

“Dal 25 aprile dobbiamo trarre l’insegnamento che la Resistenza è stata un grande fatto europeo ed ha posto le fondamenta dell’Europa che poi è nata e si è sviluppata nelle vicende successive perché – la Resistenza – c’è stata in Francia e, in qualche modo, anche se più ridotto, all’interno della stessa Germania nonché nei tanti altri paesi che hanno subito l’occupazione nazista. Dunque, gli europei hanno scoperto di essere uniti nel voler voltare pagina rispetto a tanti anni di violenza e di guerra. Credo che ciò anche oggi sia molto importante perché dobbiamo costruire un Europa che si fondi sul rifiuto della violenza e della guerra. Oggi ci richiamiamo a quella Resistenza perché anche ora c’è bisogno di una resistenza contro le diverse ideologie, le violenze di guerra, le varie forme di nazionalismo e l’intolleranza verso gli immigrati. Da questo punto di vista oggi è molto significativo che gli europei abbiano aperto le porte a chi fugge dall’Ucraina, perché anche questa è resistenza. L’accoglienza di chi fugge dalla guerra e dalla violenza è resistenza, anche se non è armata. Certo, sarebbe stato bello che l’Europa aprisse le sue porte già negli anni passati a chi fuggiva dalle guerre e che lo facesse oggi anche nei confronti di coloro che fuggono da guerre diverse da quella in Ucraina”.

Quali sono le similitudini e le differenze tra la Resistenza italiana di ottant’anni fa e quella ucraina di oggi?

“Credo che non si possa equiparare la Russia di oggi alla Germania nazista, anche se certamente l’aggressione russa all’Ucraina è molto grave e va condannata in modo chiaro. La situazione storica è diversa e dunque se – cercare la pace allora significava necessariamente sconfiggere Hitler e il nazismo oggi invece, anche se sono accaduti fatti terribili in questa guerra, bisogna comunque continuare a cercare la via della pace – come dice Papa Francesco – con chiunque sia disponibile a perseguire questo obiettivo. Quindi, anche con la Russia, che ha cominciato questa guerra, bisogna dialogare per arrivare alla pace, il che non significa cedere alla prepotenza. Per questo ha un grande valore difendere la popolazione ucraina nonché la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina”.

Christian Cabello

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