“Il vescovo diocesano è chiamato ad autorizzare i matrimoni misti e può, in alcuni casi, consentire una dispensa dal rito cattolico per la cerimonia nuziale. I matrimoni misti non devono essere considerati come un problema, perché sovente sono un luogo privilegiato di edificazione dell’unità dei cristiani”, riporta il documento “Il Vescovo e l’unità dei cristiani: Vademecum ecumenico”, diffuso oggi dalla Santa Sede.

Tuttavia, i pastori non possono restare indifferenti alla sofferenza che la divisione dei cristiani provoca in queste famiglie, in modo indubbiamente più acuto che in qualsiasi altro contesto – osserva il documento -. La cura pastorale delle famiglie cristiane interconfessionali deve essere presa in considerazione a livello sia diocesano che regionale”. L’invito è a farlo “a cominciare dalla preparazione iniziale della coppia al matrimonio fino all’accompagnamento pastorale quando nascono i figli e quando si tratta di prepararli ai sacramenti”. Uno sforzo particolare viene rischiesto per “coinvolgere queste famiglie nelle attività ecumeniche parrocchiali e diocesane”.

“Gli incontri tra pastori in vista dell’accompagnamento e del supporto offerti a queste coppie può costituire un terreno eccellente di collaborazione ecumenica”. Ricordando che “i recenti movimenti migratori hanno amplificato questa realtà ecclesiale”, il Vademecum rileva che “da una regione all’altra esiste una grande diversità di pratiche in materia di matrimoni misti, di battesimo dei bambini nati da queste coppie e della loro formazione spirituale. Perciò, devono essere incoraggiati accordi a livello locale su queste cogenti questioni pastorali”.

Eucaristia espressione di unità della Chiesa

“La questione dell’amministrazione e della ricezione dei sacramenti, in particolare dell’eucaristia, nelle celebrazioni liturgiche degli uni e degli altri rimane un motivo di forte tensione nelle nostre relazioni ecumeniche”.

Approfondendo, dunque, l’argomento della “condivisione di vita sacramentale con i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali”, il documento richiama due principi espressi nel Direttorio ecumenico. Il primo è che la celebrazione dei sacramenti in una comunità “esprime l’unità della Chiesa”; per il secondo, un sacramento è una “partecipazione ai mezzi della grazia”.

In merito al primo principio, il Direttorio afferma che “la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile”. Quindi, la partecipazione ai sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’unzione degli infermi “deve essere riservata in generale a quanti sono in piena comunione”.

Tuttavia, applicando il secondo principio, il Direttorio prosegue affermando che “in certe circostanze, in via eccezionale e a determinate condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali”. “Pertanto – si legge nel Vademecum -, in alcune circostanze, la communicatio in sacris è non solo autorizzata per la cura delle anime, ma è riconosciuta come auspicabile e raccomandabile”.

Infine, il documento invita al discernimento il vescovo diocesano affinché “valuti l’applicabilità di questi due principi”, anche alla luce del fatto che “la possibilità della communicatio in sacris differisce a seconda della Chiesa o Comunità coinvolta”.