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LA PASQUA DEL POPOLO EBRAICO E LE SUE TRADIZIONI

Dal tramonto del 3 aprile è iniziata la Pasqua ebraica nella quale si ricorda la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Coincide con il quindicesimo giorno del mese di Nisan e a partire da questa data il popolo ebraico celebra per otto giorni il grande evento. A margine di questo tempo, i primi e gli ultimi due giorni della festività è proibito lavorare così come anche compiere qualunque attività che implichi uno sforzo.

Nei quattro giorni rimanenti, chiamati “chol hamoed” è invece possibile fare molte attività, incluso il lavoro indifferibile, sono permesse. A spiegarne i passaggi è l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede in un’intervista all’Osservatore Romano, citando il passo dell’Esodo ricorda i fatti con cui Dio intervenne nella vita degli ebrei.

Dio scelse Mosè per chiedere al faraone di liberare il popolo in schiavitù. Dopo il suo rifiuto il Paese fu colpito con dieci piaghe che devastarono le terre e il bestiame e infine tutti i primogeniti vennero uccisi, “passando oltre” (da qui il nome della Pasqua) i bambini delle famiglie ebree, che avevano segnato le loro case con il sangue, come aveva rivelato Dio a Mosè. A quel punto il faraone si arrese lasciando libero  il suo popolo che si sarebbe avviato verso la Terra Promessa.

La storia della liberazione viene raccontata nella prima sera della Pasqua e viene letta mentre si consumano alcuni cibi dell’antica tradizione: le erbe amare che ricordano l’amarezza della schiavitù, la zampa dell’agnello simbolo del sacrificio degli ebrei nel fuggire dall’Egitto, l’uovo bollito al quale si accompagna il Charòset, un mix di noci,mele e vino che ricorda la fanghiglia con cui si costruivano i mattoni, il Karpàs che è una verdura come il sedano, riporta alla freschezza della primavera e infine tre pani azzimi vengono posti al centro della tavola. Ad accompagnare i cibi spesso si trova l’acqua salata o l’aceto, a memoria delle lacrime che versano al tempo del dominio del faraone. Infine vengono consumati 4 bicchieri di vino che simboleggiano le promesse bibliche di redenzione: “Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi.  Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio”.

In occasione della festività i capi delle comunità ebraiche hanno ricordato i fatti di cronaca che li hanno visti vittime di numerosi attentati. “Le cronache di questi mesi – scrive in Italia Renzo Gattegna, presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane -, segnate da molti lutti e sofferenze, hanno portato all’attenzione della pubblica opinione il fatto che è in corso un attacco ai diritti fondamentali che colpisce o può colpire in modo indiscriminato chiunque. Parlare e agire con chiarezza. Essere ambasciatori di luce, vitalità e progresso e coinvolgere l’intera società in modo che nessun gruppo possa trovarsi o possa percepire alcuna forma di isolamento fisico, culturale o sociale. Una sfida che diventa ancora più forte e simbolica in questi giorni di festa. Pesach Kasher Ve Sameach”.

Hortensia Honorati

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