Avolte la storia, con le sue vicende e i suoi protagonisti, sembra andare in senso contrario al disegno del Padre celeste, che vuole per tutti i suoi figli la giustizia, la fraternità, la pace. Ma noi siamo chiamati a vivere questi periodi come stagioni di prova, di speranza e di attesa vigile del raccolto”. C'è un invito ben preciso nelle parole rivolte da Papa Francesco ai fedeli radunati in Piazza San Pietro per l'Angelus domenicale, un incoraggiamento a seguire il passo evangelico nel quale “il Regno di Dio è paragonato alla crescita misteriosa del seme, che viene gettato sul terreno e poi germoglia, cresce e produce la spiga, indipendentemente dalla cura del contadino, che al termine della maturazione provvede al raccolto”. Un messaggio che, spiega il Santo Padre, ci viene consegnato perché si comprenda che “mediante la predicazione e l’azione di Gesù, il Regno di Dio è annunciato, ha fatto irruzione nel campo del mondo e, come il seme, cresce e si sviluppa da sé stesso, per forza propria e secondo criteri umanamente non decifrabili. Esso, nel suo crescere e germogliare dentro la storia, non dipende tanto dall’opera dell’uomo ma è soprattutto espressione della potenza e della bontà di Dio”.
Sta a noi, prosegue il Pontefice, “rimanere fiduciosi nell’agire sommesso ma potente di Dio” anche “dentro le pieghe di vicende personali e sociali che a volte sembrano segnare il naufragio della speranza”, consapevoli che “il Regno di Dio cresce nel mondo in modo misterioso e sorprendente, svelando la potenza nascosta del piccolo seme, la sua vitalità vittoriosa”. E' per questa coscienza, accompagnatrice della nostra fede, che “nei momenti di buio e di difficoltà non dobbiamo abbatterci ma rimanere ancorati alla fedeltà di Dio, alla sua presenza che sempre salva”.
Allo stesso modo, il Regno di Dio viene paragonato al granellino di senape, “un seme piccolissimo” che cresce in modo “imprevedibile, sorprendente”. Non è facile, spiega Papa Francesco “entrare in questa logica della imprevedibilità di Dio e accettarla nella nostra vita. Ma oggi il Signore ci esorta a un atteggiamento di fede che supera i nostri progetti, i nostri calcoli, le nostre previsioni. E' un invito ad aprirci con più generosità ai piani di Dio, sia sul piano personale che su quello comunitario. Nelle nostre comunità occorre fare attenzione alle piccole e grandi occasioni di bene che il Signore ci offre, lasciandoci coinvolgere nelle sue dinamiche di amore, di accoglienza e di misericordia verso tutti”. Non dobbiamo dimenticare, ha concluso il Santo Padre, che “l’autenticità della missione della Chiesa non è data dal successo o dalla gratificazione dei risultati ma dall’andare avanti con il coraggio della fiducia e l’umiltà dell’abbandono in Dio”. Questo, attraverso la matura “consapevolezza di essere piccoli e deboli strumenti, che nelle mani di Dio e con la sua grazia possono compiere opere grandi”.
Il pensiero del Pontefice è stato rivolto anche alla situazione dello Yemen, Paese devastato da un conflitto che, negli ultimi anni, ha provocato atroci sofferenze alla popolazione civile e al quale ha rivolto un Ave Maria, facendo al contempo “appello alla Comunità internazionale perché non risparmi alcuno sforzo per portare con urgenza al tavolo dei negoziati le parti in causa ed evitare un peggioramento della già tragica situazione umanitaria”. Allo stesso modo, il Papa ha ricordato che il prossimo 20 giugno “ricorrerà la Giornata mondiale del rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione su ciò che vivono, spesso con grandi ansietà e sofferenze, i nostri fratelli costretti a fuggire dalla loro terra a causa di conflitti e persecuzioni. Una Giornata che – ha ricordato – quest’anno, cade nel vivo delle consultazioni tra i Governi per l’adozione di un Patto mondiale sui rifugiati, che si vuole adottare entro l’anno, come quello per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Auspico che gli Stati coinvolti in questi processi raggiungano un’intesa per assicurare, con responsabilità e umanità, l’assistenza e la protezione a chi è forzato a lasciare il proprio Paese”. Ma il richiamo è anche a ciascuno di noi, perché chiamati a essere “vicino ai rifugiati, a trovare con loro momenti d’incontro, a valorizzare il loro contributo, perché anch’essi possano meglio inserirsi nelle comunità che li ricevono. In questo incontro e in questo reciproco rispetto e appoggio c’è la soluzione di tanti problemi”.
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