“Ci sono le torture e le crocifissioni. I bambini decapitati e sepolti vivi. L’Isis non è l’Islam. Abbiamo paura in questo periodo, noi musulmani. Paura di essere confusi”. Lo dice Housam Najjair, ex foreign fighter di religione islamica e nazionalità irlandese, combattente in Libia nel 2011, nel gruppo che ha assaltato l’edificio di Gheddafi, e in Siria nel 2012 contro Bashar Al-Assad.
Il soldato è stato l’ospite d’onore della serata “Je suis Charlie. E dopo?” organizzata dal teatro Stabile del Veneto, con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, la Fondazione Musei Civici, il conservatorio Benedetto Marcello e la Fondazione Oasis. Un evento “blindato”, tutto controllato al millimetro e agenti delle forze dell’ordine in ogni angolo, pensato e realizzato per capire, usando un linguaggio soprattutto teatrale, che cosa sta succedendo dopo i sanguinosi fatti di Parigi, il ruolo dell’Occidente, chi sono davvero i protagonisti della relazione, quella tra la cultura occidentale e quella islamica, che dura da secoli ma che ancora oggi sembra ostaggio del terrorismo e della paura, ma anche della diffidenza e dell’ignoranza.
“Volete sapere perché un ragazzo parte per andare a combattere? Io ho deciso di non aspettare più una mattina in cui ho visto un gruppo di mercenari di Gheddafi che stupravano una donna libica – dice Housam Najjair – ero in un internet café vicino a casa mia, stavo parlando con un mio amico della situazione. Poi lui mi ha mostrato quel video e la mia vita è cambiata”. Poi “ho fatto di tutto per diventare un bravo soldato, ero nella brigata che è entrata nel compound di Gheddafi quel 20 agosto. Non potrò mai dimenticarlo”.
Sul palcoscenico si sono alternate le testimonianze di Housam Najjair; Padre Samir Khalil, teologo gesuita, esperto del rapporto tra Occidente e Islam; Adnane Mokrani, intellettuale di religione islamica e Serra Yilmaz, celebre attrice turca che vive e lavora in Italia. “Non si può prestare a Dio una volontà di violenza e non è legittimo dire difendo Dio con la violenza – dice Padre Samir Khalil – Dio non ha bisogno di difesa. La violenza in nome di Dio è la peggiore violenza pensabile”.
Una fitta sequenza di immagini ha fatto inoltre da sfondo alle testimonianze di alcune donne islamiche che stanno cercando di porre interrogativi e di proporre punti vista alternativi alla questione negli Usa, in Europa, nel Medio Oriente e in Africa.
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