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“Confessiamo i nostri peccati non quelli degli altri”

Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri”. Papa Francesco prosegue la serie di catechesi sulla Santa Messa e, nella prima Udienza Generale del 2018, si sofferma sull'atto penitenziale, rito introduttivo della celebrazione eucaristica. Il Pontefice fa notare come spesso, “per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare altri. Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con sincerità”. E a braccio aggiunge: “Confessare i propri peccati! Ricordo un aneddoto che raccontava un vecchio missionario: una donna che andava a confessarsi cominciò a dire gli sbagli del marito, poi gli sbagli della suocera, poi gli sbagli dei vicini. Allora il sacerdote le disse: 'Lei ha finito con i peccati degli altri? Adesso cominci a dire i suoi!'”.

“Siamo tutti peccatori”

Papa Bergoglio, accolto da un'ovazione dei circa settemila pellegrini provenienti da tutto il mondo, dopo aver salutato i fedeli, fa notare come l'atto penitenziale “nella sua sobrietà, favorisce l’atteggiamento con cui disporsi a celebrare degnamente i santi misteri”, ovvero “riconoscendo davanti a Dio e ai fratelli i nostri peccati“. “L’invito del sacerdote infatti è rivolto a tutta la comunità in preghiera, perché tutti siamo peccatori – sottolinea – . Che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla, perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia“. E aggiunge: “Chi è consapevole delle proprie miserie e abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio. Sappiamo per esperienza che solo chi sa riconoscere gli sbagli e chiedere scusa riceve la comprensione e il perdono degli altri“. Ma per farlo è necessario “ascoltare in silenzio la voce della coscienza”: in questa maniera “possiamo riconoscere che i nostri pensieri sono distanti” da quelli di Dio, “che le nostre parole e le nostre azioni sono spesso mondane, guidate cioè da scelte contrarie al Vangelo“. Ecco perché all'inizio della Messa, spiega, “compiamo comunitariamente l’atto penitenziale mediante una formula di confessione generale, pronunciata alla prima persona singolare”. Tutti confessano a Dio “di avere molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni”. E spiega: “Spesso ci sentiamo bravi e diciamo: 'Non ho fatto male a nessuno'. In realtà, non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù“.

“Costa ammettere di essere colpevoli”

Il Pontefice sottolinea poi che nel “Confesso” i peccati vengono presentati “sia a Dio che ai fratelli”: “Questo ci aiuta a comprendere la dimensione del peccato che, mentre ci separa da Dio, ci divide anche dai nostri fratelli, e viceversa“. E aggiunge: “Le parole che diciamo con la bocca sono accompagnate dal gesto di battersi il petto, riconoscendo che ho peccato proprio per colpa mia, e non di altri. Capita spesso infatti che, per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare altri. Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con sincerità“. Passa poi a spiegare il motivo per cui “supplichiamo la Beata Vergine Maria, gli Angeli e i Santi”: “l’intercessione di questi 'amici e modelli di vita' ci sostiene nel cammino verso la piena comunione con Dio, quando il peccato sarà definitivamente annientato”.

L'assoluzione

L’atto penitenziale si conclude con l’assoluzione del sacerdote, “che invoca Dio onnipotente affinché 'abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna'”. Un assoluzione, sottolinea il Papa, che “non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza”. Infatti, “ci sono peccati gravi, detti anche mortali perché fanno morire in noi la vita divina, i quali per essere perdonati hanno bisogno della Confessione e assoluzione sacramentale”. E conclude: “Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte”.

Fabio Beretta

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