Spagna, adios tiki taka
Tenere il pallone tra i piedi costantemente, nel calcio di oggi non basta più. E’ bastato alla Spagna degli anni a cavallo tra il 2008 e il 2012 con due europei e un mondiale vinto, quello in Sudafrica. Altri tempi, come lo erano anche gli anni d’oro del Barcellona di Pep Guardiola che in patria ha vinto tutto, senza riuscire a ripetersi fuori dai confini nazionali, al Bayern come al Manchester City. Una scuola che è la stessa del tecnico della Furie Rosse Luis Enrique che fa del gioco e possesso palla il suo credo. Ma te ne fai nulla se, come contro il Marocco, tiene palla per 100 minuti su 120, ma non tiri mai in porta. Nella migliore delle ipotesi, vai ai rigori e perdi perché gli altri sono più bravi e precisi di te dagli undici metri.
E così diventa maledettamente incerto il futuro di Luis Enrique alla guida della Spagna, all’indomani della sconfitta agli ottavi contro il Marocco. La Roja si è imbarcata questa mattina su un volo privato destinazione Madrid. Metà della squadra è però rimasta a Doha e tra questi Jordi Alba, Asensio, Carvajal, Morata, Koke, Marcos Llorente, Carlos Soler, Robert Sánchez, Azpilicueta e Rodri, che hanno deciso di volare separatamente con la squadra per riunirsi con le famiglie qui in Qatar e sfruttare gli ultimi giorni di riposo a disposizione prima del ritorno nei rispettivi club. Intanto c’è maretta intorno al nome del ct, quattro anni dopo il fallimento della campagna di Russia. La federcalcio spagnola non avrebbe più fiducia nell’operato di Luis Enrique. L’accusa è che in quattro anni, non c’è stato il benché minimo passo in avanti sul piano del gioco e dei risultati. Luis Enrique guarda avanti, convinto della bontà del proprio lavoro. Decisivo, come riporta Marca, il confronto tra il tecnico asturiano e la federazione che spera in un passo indietro e ammissione delle proprie responsabilità da parte del tecnico.
Cristiano, il tramonto di un fuoriclasse
Una storia arrivata ai titoli di coda. Quella di Cristiano Ronaldo, lasciato fuori dal ct Santos per scelta tecnica dopo i gesti di stizza in seguito alla sostituzione contro la Corea. Al suo posto un ragazzino altruista, il 21enne attaccante del Benfica Gonsalo Ramos che con umiltà ha fatto il Ronaldo e si è preso la scena. Ha segnato tre gol e trascinato la squadra, osannato dalla gente portoghese mentre Ronaldo continuava a masticare amaro in panchina. Colpa del suo carattere, del suo voler essere sempre al centro dell’universo, abbandonato anche dal ct Santos che si è sentito tradito. Cristiano entra al tramonto del match a giochi fatti. E non ne esce affatto bene. Probabile che il caso rientri perché per vincere c’è bisogno di tutti, ma Cristiano dovrà cambiare atteggiamento. Col tecnico e con i compagni, perché il Portogallo anche senza di lui, ha dimostrato di saper vincere. E anche bene. Questo in Qatar è l’ultimo grande evento della sua storia calcistica e magari dovrà ingoiare qualche altro boccone amaro poi, a mondiale finito, avrà 200 milioni di buoni motivi per tornare a sorridere. Quelli che probabilmente percepirà in Arabia Saudita dove finirà la sua gloriosa carriera, al netto di come finirà l’avventura mondiale del suo Portogallo.