Attualità

“Usciremo dai sepolcri come Gesù non come Lazzaro”

Dopo la processione iniziale, il Papa ha compiuto la prostrazione sotto i gradini del presbiterio. Il triplice svelamento della Croce ha preceduto l’atto di adorazione. Il bacio alla Croce, per l’emergenza sanitaria in atto, è stato limitato al solo celebrante. Durante la Liturgia della Parola è stato letto il racconto della Passione secondo Giovanni; quindi il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa ha tenuto l’omelia.

E’ bastato un virus

“Anche noi, dopo questi giorni che speriamo brevi, risorgeremo e usciremo dai sepolcri che sono ora le nostre case– sottolinea padre Cantalamessa-. Non per tornare alla vita di prima come Lazzaro, ma per una vita nuova, come Gesù. Una vita più fraterna, più umana. Più cristiana!”. E puntualizza: “Qual è la luce che tutto questo getta sulla situazione drammatica che stiamo vivendo? “Anche qui, più che alle cause, dobbiamo guardare agli effetti- spiega il predicatore  della Casa Pontificia-. Non solo quelli negativi, di cui ascoltiamo ogni giorno il triste bollettino, ma anche quelli positivi che solo una osservazione più attenta ci aiuta a cogliere. La pandemia del Coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità, quello dell’illusione di onnipotenza. Abbiamo l’occasione di celebrare quest’anno uno speciale esodo pasquale, quello dall’esilio della coscienza. È bastato il più piccolo e informe elemento della natura, un virus, a ricordarci che siamo mortali, che la potenza militare e la tecnologia non bastano a salvarci. “L’uomo nella prosperità non comprende –dice un salmo della Bibbia -, è come gli animali che periscono”. Quanta verità in queste parole!”. San Gregorio Magno diceva che “la Scrittura cresce con coloro che la leggono. Esprime significati sempre nuovi a seconda delle domande che l’uomo porta in cuore nel leggerla”. E, aggiunge padre Cantalamessa, “noi quest’anno leggiamo il racconto della Passione con un grido, nel cuore che si leva da tutta la terra”.

Foto © Vatican Media

Le cause

Prosegue padre Cantalamessa: “Se ci fermiamo alle cause storiche della morte di Cristo ci confondiamo e ognuno sarà tentato di dire come Pilato: “Io sono innocente del sangue di costui”. La croce si comprende meglio dai suoi effetti che dalle sue cause. E quali sono stati gli effetti della morte di Cristo? Resi giusti per la fede in lui, riconciliati e in pace con Dio, ricolmi della speranza di una vita eterna! Ma c’è un effetto che la situazione in atto ci aiuta a cogliere in particolare”. Inoltre “la croce di Cristo ha cambiato il senso del dolore e della sofferenza umana: di ogni sofferenza, fisica e morale. Essa non è più un castigo, una maledizione. È stata redenta in radice da quando il Figlio di Dio l’ha presa su di sé. Qual è la prova più sicura che la bevanda che qualcuno ti porge non è avvelenata? È se lui beve davanti a te dalla stessa coppa. Così ha fatto Dio: sulla croce ha bevuto, al cospetto del mondo, il calice del dolore fino alla feccia. Ha mostrato così che esso non è avvelenato, ma che c’è una perla in fondo ad esso”. E non solo il dolore di chi ha la fede, ma ogni dolore umano. Egli è morto per tutti. “Quando sarò elevato da terra, aveva detto, attirerò tutti a me”. Tutti, non solo alcuni! “Soffrire –scriveva san Giovanni Paolo II dopo il suo attentato – significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo”. Grazie alla croce di Cristo, la sofferenza è diventata anch’essa, a modo suo, una specie “sacramento universale di salvezza” per il genere umano.

Gridare a Dio

Secondo padre Cantalamessa, “la parola di Dio ci dice qual è la prima cosa che dobbiamo fare in momenti come questi: gridare a Dio. È lui stesso che mette sulle labbra degli uomini le parole da gridare a lui, a volte parole dure, di lamento, quasi di accusa. “Àlzati, Signore, vieni in nostro aiuto! Salvaci per la tua misericordia! Déstati, non ci respingere per sempre!”. “Signore, non ti importa che noi periamo?”. Forse che Dio ama farsi pregare per concedere i suoi benefici? Forse che la nostra preghiera può far cambiare a Dio i suoi piani? No, ma ci sono cose che Dio ha deciso di accordarci come frutto insieme della sua grazia e della nostra preghiera, quasi per condividere con le sue creature il merito del beneficio accordato. È lui che ci spinge a farlo: “Chiedete e otterrete, ha detto Gesú, bussate e vi sarà aperto”. Quando, nel deserto, gli ebrei erano morsi dai serpenti velenosi, Dio ordinò a Mosè di elevare su un palo un serpente di bronzo e chi lo guardava non moriva. Gesú si è appropriato di questo simbolo. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Anche noi, avverte il predicatore della Casa Pontificia, in questo momento siamo morsi da un invisibile “serpente” velenoso: “Guardiamo a colui che è stato “innalzato” per noi sulla croce. Adoriamolo per noi e per tutto il genere umano. Chi lo guarda con fede non muore. E se muore, sarà per entrare in una vita eterna”.

Gianluca Franco

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