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La Cina replica a Pompeo: “Calunniato il Paese, metta fine al suo show”

Sulla questione Vaticano la risposta si può definire tutto sommato diplomatica. Stavolta, però, la Cina decide di replicare per le rime al segretario di Stato, Mike Pompeo, che durante la sua prima giornata in Italia ha tirato ancora la coda al Dragone, allertando il nostro Paese sui contenuti del 5G. E, più in generale, sulle strategie cinesi che il governo americano ritiene vi siano dietro. Un monito che non è sfuggito dalle parti di Pechino.

“Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Pompeo in visita a Roma ha nuovamente diffamato il Partito Comunista Cinese, attaccato senza motivo la politica interna della Cina e tentato di destabilizzare i rapporti tra Italia e Cina. Ci opponiamo fermamente e condanniamo con forza tali atteggiamenti”. A parlare, il portavoce dell’Ambasciata cinese in Italia, che stigmatizza i toni del capo della diplomazia americana.

La Cina e la tutela

“In Italia – prosegue l’ambasciata – c’è un proverbio che dice ‘chi semina vento, raccoglie tempesta’. Ci auguriamo che il gracchiante signor Pompeo metta fine al suo show prima possibile”. Una reazione piccata, che si inserisce nel momento (ormai una costante) di forte tensione fra Stati Uniti e Cina. E la sede diplomatica cinese insiste. “Il signor Pompeo calunnia la Cina con la scusa della tutela dei diritti umani, della libertà di religione e della cyber security. Le sue affermazioni traboccano di pregiudizi ideologici e di ignoranza sulla Cina”.

Vie di sviluppo

Una reazione che va oltre l’episodio. L’Ambasciata cinese in Italia rivendica che “nei 71 anni dalla costituzione della Repubblica Popolare, il popolo cinese, sotto la guida del Partito Comunista Cinese, ha percorso una via di sviluppo conforme alle esigenze nazionali ottenendo risultati che sono sotto gli occhi di tutti. I cittadini cinesi, appartenenti a tutti i gruppi etnici, godono oggi di un senso di soddisfazione, felicità e sicurezza senza precedenti. La valutazione se la situazione dei diritti umani – ha concluso la nota -, la libertà religiosa e la cyber security in Cina sia buona o meno spetta a chi ha maggior diritto di parola in merito. Ovvero gli 1,4 miliardi di cittadini cinesi e non certo a un qualunque politico straniero”

Damiano Mattana

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