Attualità

Biden e Sanders, le surreali primarie a porte chiuse

Si salutano gomito a gomito Joe Biden e Bernie Sanders, trasformando il palco del dibattito dem in un impensabile remake della scena fra Gene Wilder e Madeline Kahn in Frankenstein Junior. Al contrario della commedia di Mel Brooks, però, la scena vista a Washington ha avuto poco di divertente. I due candidati democratici, praticamente gli ultimi rimasti in corsa per il ruolo di sfidante del Donkey Party alla Casa Bianca, adottano le precauzioni anti-coronavirus valide anche per il resto della popolazione americana, che assiste al dibattito in un clima surreale, senza pubblico. Sicuramente un’anomalia nella storia dei dibattiti televisivi e, soprattutto, per la campagna elettorale dei candidati statunitensi, che proprio sulle grandi folle di sostenitori hanno sempre contato per accrescere voti e autostima.

La promessa

Di questo scenario devono farne a meno Biden e Sanders, che si ritrovano faccia a faccia in piena emergenza sanitaria globale e, forse, in un momento storico in cui per gli americani la corsa alla presidenza potrebbe non rappresentare più l’argomento principe. Due ore di confronto, praticamente trascorso quasi tutto in difesa (Biden) e in attacco (Sanders), senza che la costante offensiva del senatore del Vermont abbia stravolto più di tanto l’assetto complessivo: l’ex vice-Obama non solo resta il favorito ma mette sul piatto la promessa di scegliere come suo vice una donna. I books vanno su Kamala Harris ma il dibattito, anche in questo senso, è decisamente aperto.

Servizio sanitario

L’emergenza coronavirus, però, non entra solo trasversalmente nel dibattito: sul sistema sanitario si consuma forse lo scontro più duro proprio in nome della gestione di emergenze di questo tipo, dai candidati letta su punti di vista completamente opposti. Per Biden l’idea di Sanders di creare un sistema sanitario universale non garantirebbe una risposta efficace a situazioni come quella del Covid-19, citando l’Italia come un esempio in tal senso. Su una cosa, però, i due sono concordi: per rispondere adeguatamente all’emergenza “c’è bisogno di lavorare con l’Italia e con gli altri Paesi”.

Videoconferenze

Impossibile, di qui a breve termine, rivedere un convegno nel senso classico del termine. Per quanto affrontata con meno immediatezza di altri, anche gli Stati Uniti fanno quadrato sull’emergenza, modificando il calendario delle primarie (posticipate le votazioni in Georgia e Louisiana) e bannando ogni appuntamento pubblico. La campagna dem finirà come forse non è finita mai: in videoconferenza, sperando di ottenere abbastanza like per farne, chissà, lo zoccolo duro dell’elettorato di domani. Una sfida anche questa.

Damiano Mattana

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