In poco più di un mese, dall’inizio dell’avanzata dei talebani ad oggi, in Afghanistan sono stati costretti a chiudere 153 media sparsi nelle varie province del paese.
A rendere noto questo dato eloquente sono stati l’Unione Nazionale dei giornalisti afghani e la Federazione dei Giornalisti dell’Afghanistan che hanno lanciato un appello per gli organi di informazione che attualmente sono presi nella morsa del nuovo esecutivo e dal collasso economico del paese di cui desidererebbero continuare a raccontare nonostante le difficoltà.
Nonostante il viceministro alla cultura e all’informazione del governo talebano Zabihullah Mujahid all’inizio del suo mandato abbia fornito agli organi di informazione diverse rassicurazioni in materia di sicurezza e fondi specifici destinati al settore, la crisi è scoppiata con impeto per la mancanza di sostegno e di finanziamento da parte dell’esecutivo e delle agenzie pubblicitarie prima molto presenti.
Ad oggi, come sottolineato da un rapporto dell’Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo, la situazione degli operatori dell’informazione rimasti in Afghanistan è drammatica in quanto, coloro che hanno svolto la professione di giornalista durante la precedente amministrazione governativa vengono sistematicamente presi di mira dalle nuove autorità costituite ed i pochi media ancora in attività devono sottostare alle nuove condizioni stabilite dagli studenti coranici.
In particolare, per coloro che non rispettano le nuove direttive materia di diffusione delle notizie, sono previsti il licenziamento oppure specifiche segnalazioni ai nuovi editori che spesso diventano minacce o punizioni che possono sfociare anche in arresti arbitrari, come quello avvenuto nei confronti di due giornalisti che lo scorso 9 settembre sono stati posti in stato di fermo e picchiati per aver documentato una manifestazione di protesta da parte delle donne afghane a Kabul.
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