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UN GIOCO PER SUICIDARSI

“Un gioco di carte accattivante, macabro e divertente, il cui obiettivo è di porre fine alla vostra esistenza, o spingere gli altri a farlo (per finta, ovviamente)”. E’ scritto nero su bianco nel promo che annuncia l’arrivo di “Suicidium”, un nuovo gioco che coinvolge nomi noti del fumetto italiano. Quanto poi questa “finta” possa incidere nelle menti e nei cuori degli adolescenti, in particolare di coloro che hanno problemi, non è dato sapere.

Questo nuovo passatempo, creato da un’associazione italiana appena nata, la Kinderkammer, comprende 100 carte. Se si entra nel dettaglio del regolamento si scoprono altri particolari. Lo scopo è quello di morire o far morire, con due modalità differenti, due livelli: “Nella modalità survivor – scrivono gli ideatori – l’obiettivo è appunto sopravvivere, rimanendo l’ultimo in gioco. Nella modalità depression, invece, l’obiettivo sarà quello di azzerarsi i punti volontà prima degli altri. Quando i punti volontà arrivano a zero, questi dovrà pescare da un mazzetto separato una carta oggetto (lametta, cappio, veleno o cabina suicidi) per poi ricominciare a giocare con i valori iniziali ristabiliti”.

Inutile sottolineare quali danni può fare accostare “per gioco”, nelle menti dei ragazzi, la depressione al suicidio, mostrando peraltro mille modi per ottenerlo: con l’impiccagione, le armi, il soffocamento, i veleni, e così via…

In un mondo sempre più individualista e relativista, quella dei suicidi è una piaga con la quale fare i conti. Quando l’essere umano si trova solo con i propri dolori, le sue impotenze, senza l’aiuto delle istituzioni e il conforto della preghiera, il pensiero di togliersi la vita diventa qualcosa di più di una mera possibilità. La crisi economica ha aggravato la situazione, e le statistiche danno numeri preoccupanti. Il suicidio è, per alcuni, l’unica via di fuga che riescono a immaginare, aggiungendo così dramma a dramma: bambini che perdono i genitori, mariti o mogli che si ritrovano a dover affrontare il fardello di un lutto oltre ai problemi economici. Spesso è la depressione a fare da killer silenzioso prima dell’atto finale. E il rischio si evidenzia proprio quando “la volontà arriva a zero”, per dirla come il gioco stesso.

Per questo, su un tema del genere non si dovrebbe scherzare. Non è un gioco, non dovrebbe esserlo. Banalizzarlo non è un modo per esorcizzare la paura ma per avvicinare la mente – soprattutto dei più deboli – alla presunta normalità di un gesto estremo.

L’uso del “gioco” per veicolare messaggi di morte e di violenza, a volte anche esoterismo e occultismo, è il più utilizzato. La parola stessa “gioco”, infatti, evoca innocenza, gioventù, spensieratezza, sorrisi… Quanto di più bello possa essere proposto agli adolescenti. E’ per questo che il cavallo di Troia per messaggi ambigui, il più delle volte è quello ludico. I contenuti trasmessi in questa forma sono ricevuti più facilmente, perché oltrepassano la soglia della coscienza. Uno schiaffo all’innocenza.

Soprattutto se a giocare sono giovani già bombardati da videogames e film dove la violenza è pane quotidiano, dove la differenza tra sessi è un optional, dove la famiglia e i suoi valori fondamentali sono ridicolizzati, dove persino le feste comandate vengono sostituite da appuntamenti nei quali il mostro è protagonista. E’ questo il disegno generale che il Terzo Millennio propone alla società contemporanea. Non volerlo vedere vuol dire ignorare la realtà; cosa peraltro non di difficile attuazione, visto che ormai è più o meno tutto virtuale.

Fra i Paesi Ocse l’Italia registra uno dei più bassi livelli di mortalità per suicidio. Sarà per questo che si è scelto di farne la propaganda, quasi che fosse un terreno di conquista per un settore merceologico? E in “vendita”, in realtà, cosa c’è se non l’essenza stessa dell’essere umano, cioè la vita?!

Secondo l’ultima analisi dell’Istat, in Italia si evidenzia una netta prevalenza di casi di impiccagione e soffocamento; e casualità il videoclip di proposta del gioco si apre con l’offerta di una bella corda con la quale fare un nodo scorsoio.

Tralasciando il fatto non marginale che l’istigazione al suicidio è un reato (art. 580 del codice penale), l’Istat chiude le sue note informative con una frase agghiacciante, da leggere con un brivido alla luce di questa ultima macabra follia mascherata da gioco: “Si ricorda che il suicidio è un evento con una forte componente di emulazione, ed è necessaria un’informazione responsabile da parte dei mezzi di informazione”. Ma se uccidersi diventa un gioco…

 

Angelo Perfetti

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