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PERCHE’ L’ISIS HA ATTACCATO TUNISI

Il terrorismo legato all’Isis ha colpito Tunisi. Una reazione alla dura repressione che le forze di sicurezza locali da mesi stanno attuando contro reclutatori e affiliati al Califfato. Nella provincia di Kesserine sono settimane che si susseguono arresti e uccisioni di militanti della bandiera nera che tentano laggiù di organizzare una base di appoggio con i miliziani in Libia.

I rastrellamenti lungo il confine e i controlli nelle zone più infiltrate dall’estremismo islamico non sono stati sufficienti a fermare i terroristi. Anzi, l’assalto contro il Parlamento e il Museo Bardo sono la risposta dei jihadisti che così cercano di allontanare la pressione e di diffondere la paura nell’intera nazione. Una strategia questa di portare l’attacco dietro le linee dei nemici che ha come regista lo Stato islamico autoproclamatosi in Iraq e Siria.

Ogni qualvolta l’azione repressiva e la controffensiva dell’alleanza dei volenterosi si fa più efficace, i portavoce di al Baghdadi lanciano l’ordine di colpire oltre confine. In Europa, negli Stati Uniti e nei Paesi arabi considerati nemici. Appena pochi giorni fa è stato diffuso un video dove un miliziano tunisino invitava i suoi connazionali di Ansar al Sharia e di Obka bin Nafi a unirsi con Boko Haram e aprire il fronte del Maghreb. Del resto anche in Libia gli uomini dell’Isis sono sotto assedio delle altre forze meno radicali presenti nel territorio.

Un blitz contro un soft target come il museo di Tunisi e come del resto sono stati gli obiettivi a Parigi e Copenaghen. Questa la dimostrazione che il gruppo armato vuole soprattutto diffondere il terrore e l’insicurezza e colpire bersagli che diano il massimo di risonanza mediatica. Una caratteristica comune anche alla strategia di propaganda dei jihadisti, come dimostrano i suoi clip.

La Tunisia è stata aggredita ieri perché essa rappresenta, alla vigilia della festa nazionale, un esempio di equilibrio e di rinnovamento tra le forze laiche e quelle islamiste. Il Parlamento e la nuova costituzione che sta per essere approvata rappresentano una sconfitta per gli estremisti islamici dove l’estremismo ha sempre avuto un ricco serbatoio di affiliati. Al Qaeda aveva reclutato un numero così alto di tunisini tanto da dover costituire un campo chiamato appunto la “Casa dei tunisini” a Jalalabad. In quel centro, dove tra l’altro si sperimentavano armi chimiche, sono passati anche due “italiani”, Abu Duyana e Nazri Riad, una coppia che aveva trascorso alcuni anni a Bologna.

E numerosi degli arrestati in Italia perché coinvolti nel terrorismo di matrice jihadista sono tunisini e molti di questi sono stati rinviati al loro Paese di origine. Di questo Paese è anche la maggior parte dei foreign fighters che combattono con l’Isis nelle sue terre. Secondo i rapporti dei diversi servizi di intelligence il loro numero varia da 3.000 ai 5.000.

Questo nuovo attentato è la reazione di chi vuole allargare il conflitto nel tentativo di difendere meglio le posizioni acquisite in Libia e in Medio Oriente. Un modo per diffondere paura e far salire la rabbia e l’odio e con essi lo scontro di civiltà, inteso anche come interpretazione diversa dell’Islam, così da poter sfruttare tutto questo a loro favore per reclutare altri combattenti così come hanno fatto in Siria e Iraq negli ultimi tre anni.

Un attacco da parte delle forze occidentali all’Isis in Libia o in qualsiasi altra parte è l’occasione che il Califfato aspetta per incitare ancor di più allo scontro gridando alla “crociata” e trovando non pochi favorevoli. La scelta è il sostegno ai governi laici dei Paesi del Maghreb e in Medio Oriente un deciso appoggio militare, senza interventi diretti sul terreno, alle forze irachene e curde.

Un controllo serrato nei nostri Paesi su possibili infiltrazioni e, se necessario, anche promulgare leggi speciali così come ha fatto l’America con il Patriot Act dopo l’11 settembre 2001 e come fece l’Italia con la legge Reale durante gli anni di piombo. Non possiamo chiedere più sicurezza disgiunta da un maggiore rigore nei controlli. La minaccia è globale e anche la risposta deve esserlo.

Maurizio Piccirilli

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