Categories: Archivio storico

Pavia “azzarda” un limite alle “slot machine”

Qualche tempo fa si é scomodato persino il New York Times per dedicare una colonna a Pavia, non per ragioni nobili che l’hanno resa protagonista, come la sua celeberrima “Certosa” tra i più bei monumenti italiani del 1392 o per la rinomata Università che ha formato i più illustri nomi della storia italiana, ma per lo squallido primato del gioco d’azzardo. Tremila euro all’anno spesi in media dai pavesi nel gioco d’azzardo hanno creato un allarme sociale al quale la risposta andava necessariamente data. Così, oltre ai cortei no slot, è arrivata l’ordinanza del sindaco che ha posto una restrizione all’orario di apertura delle sale da gioco. Secondo il disposto, i locali dovranno restare chiusi per almeno sedici ore. Pavia non è la sola, perché l’Italia con un fatturato di 4 miliardi di euro annui si è registrata prima in Europa e quarta nel mondo, dopo gli Stati Uniti. Il programma che vuole smantellare il vizio prevede incentivi alternativi per gli esercenti che finora hanno lucrato su questa attività.

Uno dei titolari di una sala gioco, facendosi portavoce della categoria afferma che chiederà risarcimento dei danni al comune per il mancato guadagno. Ecco le cose che non si dovrebbero sentire, per le quali vergognarsi al punto che sarebbe preferibile la disoccupazione a questa attività diabolica e distruttiva. Non meriterebbe spazio questo spacciatore di attività ludiche per esprimere il suo disappunto. Vada prima a raccogliere le sofferte testimonianze di quanti si sono rovinati con le sue infernali macchinette. Lo aspettano a braccia aperte le comunità terapeutiche dove sono accolti gli adulti che, per questa dipendenza patologica e certificata hanno perso casa, famiglia e lavoro. Se fossi stato sindaco io avrei vietato anche l’apertura di iniziative tanto mediocri e dannose e avrei chiesto al nostro caro commerciante, come pure alle industrie produttrici, il risarcimento per i danni economici e morali inflitti agli ingenui malcapitati e quello per aver offeso la cultura e la bellezza di una città rinascimentale privata dei suoi secolari fregi per essere stata costretta a vendersi a questo demenziale passatempo.

Moira Schena

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