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MORIRE PER UN CHILO IN MENO

Dai dati diffusi dall’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), è emerso quanto segue: “In Italia sono circa 3 milioni i giovani che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, di cui il 95,9% sono donne e il 4,1% uomini. Ogni 100 mila abitanti ci sono 102 nuovi casi di anoressia nervosa, mentre 438 sono quelli di bulimia nervosa. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira tra il 5,86% e 6,2%”.

Dati

L’Adi è un’associazione onlus, con sede a Roma, che analizza tutti gli aspetti legati all’alimentazione, promuovendo iniziative di assistenza e di informazione riguardo il delicato rapporto con il cibo. Tra le indicazioni che fornisce, frutto di studio scientifico, nasce questo quadro davvero preoccupante. I numeri sono impietosi e non possono lasciare indifferenti. La popolazione giovanile (con riferimento a un’età massima di 34 anni) è stimata intorno ai 25 milioni di unità ed è suddivisa sostanzialmente a metà fra maschi e femmine. Il dato relativo ai giovani che soffrono di disturbi alimentari in generale, fissato in 3 milioni, interesserebbe, quindi, 1 individuo ogni 8.

Donne più esposte

Altro dato inquietante è quello riguardante il coinvolgimento quasi assoluto dell’universo femminile. Su 100 ragazzi alle prese con disturbi nel comportamento alimentare, solo 4 sono maschi e ben 96 sono donne. Quest’enorme sproporzione merita un approfondimento e un dispiegamento di forze senza precedenti. A concludere il triste quadro c’è anche l’alto numero dei decessi. L’Adi, infatti, aggiunge un altro particolare, un dato sorprendente, a cui nessuno avrebbe pensato: con l’anoressia “il rischio di morte è tre volte più alto rispetto alla depressione, alla schizofrenia o all’alcolismo”.

La malattia

L’anoressia nervosa è il rifiuto di ingerire cibi, con conseguente diminuzione dell’apporto energetico in età giovanile e pesanti ripercussioni a livello di crescita. L’individuo, non in sintonia con il proprio corpo, si punisce e somatizza la difficoltà di relazionarsi con il prossimo, si sente inadeguato a livello fisico e come persona.

Il boom del fenomeno

A partire dagli anni ’90, quando il fenomeno è apparso quasi all’improvviso, in tutta la sua tragicità, c’è stata una diffusa campagna di sensibilizzazione dei media, spesso attraverso mezzi espliciti ed esempi diretti. Pur in presenza di molte polemiche, si è cercato di attenuare il mito della ragazza magrissima come modello vincente, cioè l’unica in grado di realizzarsi a livello televisivo o nel campo della moda. C’è stato, gradualmente, anche un apprezzamento del modello curvy, della donna piacevole e armonica seppure con qualche chilo in più. Molte modelle e indossatrici curvy stanno avendo ora gran successo e rivendicano, legittimamente, il proprio corpo poco più rotondo.

Guardia abbassata

L’attenzione dei media riguardo al problema dell’anoressia è scemata negli ultimi anni ma il fenomeno è, purtroppo, sempre presente. Ciò deve indurre a una consapevole valutazione e al mantenimento di una notevole attenzione. A costo anche di perdere una minima percentuale di audience televisiva, occorre lavorare in primis sulle trasmissioni e sui modelli rivolti proprio ai giovanissimi, i diretti interessati.

Una grande responsabilità sulla crescita delle patologie legate alla nutrizione è da attribuire al cyberbullismo. Nel web e nei social si riproduce e si amplifica quello che, nei decenni scorsi, era lo scherno verbale e sistematico dei compagni di scuola o degli “amici” del quartiere.

Social

Il mezzo digitale può, tuttavia, essere un grande alleato per i soggetti alle prese con la patologia, in quanto possono liberamente documentarsi (senza le ritrosie e il pudore di doversi fisicamente recare da uno specialista), cercando anche sostegno in gruppi o persone con gli stessi disagi. In tal caso si può anche evitare, almeno nell’immediato, di chiedere l’aiuto e l’intermediazione dei genitori, con conseguente ammissione (altri aspetti considerati molto inibenti).

La riflessione

Il problema non è risolto, come qualcuno ha pensato o si è augurato, i dati forniti dall’Adi lo testimoniano. Oltre a sollecitare la collaborazione mediatica e il ridestare delle attenzioni di qualche anno fa, occorre interrogarsi a fondo e risolvere il disagio giovanile che sfocia in tali pessimi comportamenti con il cibo, per prevenire e azzerare un disturbo pur presente nei secoli scorsi ma ora giunto a livelli insostenibili, per l’intera comunità. Al tempo stesso è necessario far luce sul perché un pur auspicabile e sano tormento giovanile, condito dalla spumeggiante vivacità dell’adolescenza anziché essere sprone per gli adulti (a volte pigri e annoiati), pieghi verso rotte patologiche e disperate, non solo a livello di nutrizione.

Marco Managò

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