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L’ELOGIO DELLA PROFESSIONALITA’Intervista al vicecapo della Polizia Matteo Piantedosi

Giovane, brillante, preparato. L’identikit di Matteo Piantedosi, vice direttore generale della Pubblica sicurezza per l’attività di coordinamento e di pianificazione delle Forze di polizia, è racchiuso in questi tre tratti fondamentali. Irpino doc, originario di Pietrastornina, classe 1963, laureato in Giurisprudenza, a 30 anni era già assegnato alla Prefettura di Bologna dove per otto anni ha svolto l’incarico di capo di gabinetto. E’ stato anche Prefetto di Lodi e vice capo di Gabinetto vicario dell’ex ministro Cancellieri. Dietro la sua scrivania il busto di Cicerone, a testimoniare la passione giovanile per l’arte oratoria che lo caratterizza tutt’ora.

Un po’ tutti da piccoli abbiamo giocato a fare i poliziotti… Manette, stemma, pistola col tappo rosso. Anche lei? Io no. Se devo dire, la mia infanzia l’ho passata dietro al pallone. E, anche crescendo, una mia grande passione era quella di fare il calciatore, oltre al desiderio che poi ho coltivato già da ragazzo per l’avvocatura. Giocavo in difesa e da calciatore sono arrivato fino in terza categoria, poi ho lasciato per dedicarmi agli studi.

Quale facoltà? Facoltà di Giurisprudenza, ovviamente… Sì. Ero letteralmente affascinato dal ruolo del difensore, soprattutto l’aspetto di chi combatte per le cause difficili; sono sempre stato di indole poco giustizialista, nel senso che di fronte al grande accusato, anche con prove schiaccianti, mi piaceva l’atto di difesa

Che tipo di famiglia aveva? Vengo da una famiglia borghese, mio padre direttore didattico, mia madre insegnante: studiare era una condizione ineliminabile. Ho una sorella più grande di circa due anni e un fratello più piccolo di cinque.

Da piccolo come vedeva le “divise”? La stupirò, ma la mia indole personale era particolarmente ribelle, ecco perché adesso ho comprensione – ma non giustificazione – per certe forme di alcune vivaci intemperanze giovanili; le divise erano un po’ il baluardo da superare, rappresentavano ai miei occhi giovanili il grillo parlante che ti richiama. Oggi, ovviamente, sono in una posizione diversa.

Come intende il diritto, la giustizia? La definirei una funzione regolatrice del rapporto tra gli uomini. E sempre più mi sono avvicinato a questo concetto scegliendo alla fine un ruolo nelle Istituzioni che esprimesse questa esigenza. Il diritto non più solo come materia di giudici e avvocati, ma come complessiva architettura del vivere civile. Ed è, in fondo, su questo versante che si esprime anche il ruolo delle forze di polizia.

Come interpreta il cambiamento del rapporto tra la cittadinanza e le forze di polizia, spesso non viste più come tutori dell’ordine e dunque amici ma addirittura come “nemici”? Voglio precisare che tutti i sondaggi e gli studi a nostra conoscenza danno tutt’ora le forze dell’ordine al vertice per gradimento e affidabilità rispetto al sentire popolare. Le limitate manifestazioni di critica credo dipendano dal fatto che alcuni vorrebbero una polizia ancor più attrezzata per le proprie personali esigenze, più presente e più vicina a sé stessi, al proprio quartiere, al proprio condominio. Insomma, sovente, si vuole una polizia che abbia un ruolo sussidiario in ambiti di carattere sociale che non le competerebbero: si vorrebbe di più e per questo si crede di poter esprimere un giudizio talvolta non positivo.

Qual è lo stato della Polizia oggi? Chi sceglie questo lavoro lo fa veramente per convinzione; l’appartenenza alle forze di polizia non è elemento di privilegio economico né sociale. Il poliziotto viene visto come chi, giustamente, deve dare prima l’esempio per poter poi controllare gli altri; dunque rimane il grande spirito di dedizione.

Niente Rambo tra i poliziotti? Neanche per sogno. Si tende ad accreditare una visione di questo tipo, ma non è così. La polizia è fatta di donne e uomini, preparati professionalmente come pochi ma con le sensibilità di qualunque essere umano e con le stesse paure: quando si ritrovano a dover affrontare certe situazioni si fanno magari prima il segno della croce e poi vanno… Sono persone come le altre, ma con responsabilità molto più grandi.

Quali? Quella di poter fermare una persona, ad esempio. L’aspetto delicato è insito nello stesso elemento lessicale: forza pubblica. Praticamente in deroga a un principio generale, le forze di polizia possono esercitare la ‘forza’, ovviamente nei limiti che la stessa democrazia impone. Ma è un aspetto delicatissimo, poiché gli operatori sul campo, in tempi ristrettissimi, si trovano a dover prendere delle decisioni che sarebbero di estrema difficoltà per chiunque, dovendo stabilire, in concreto, quando un comportamento sia legittimo, possibile, giusto, equilibrato.

Come vede la storia degli stipendi e della minaccia di sciopero? Che le difficoltà finanziarie del momento potessero avere ripercussioni anche sul comparto sicurezza era immaginabile e gli operatori di polizia si sono fatti carico di una quota parte dei problemi, dopodiché però va considerato che alcune dinamiche attuali portano squilibri all’interno della stessa organizzazione. Inoltre, i lavoratori di polizia non sono come gli altri, e non solo per le difficoltà del loro compito di cui dicevamo: basti pensare che per loro è precluso un diritto fondamentale come lo sciopero. Pertanto, l’attenzione e l’apertura del ministro Alfano e del governo ad affrontare questo argomento è un fatto particolarmente significativo che va apprezzato.

Unificazioni delle forze di polizia: che ne pensa? Prima di tutto sfatiamo il mito che l’esistenza di più Forze di polizia sia una specificità tutta italiana: anche in altri Paesi europei esiste una pluralità di Corpi. E, comunque, prima parlare di unificazione pensiamo alla storia: se esistono realtà secolari un motivo ci sarà… Il nostro, dati alla mano, è il migliore tra i modelli di coordinamento esistenti.

Punti di riferimento nella vita? Dio sicuramente: credo fortemente alla presenza di qualcuno che dà un senso profondo alla nostra giornata terrena. Lo Stato, poi, è anch’esso parte della mia vita, non solo a livello lavorativo ma personale. Credo che sia fondamentale vivere insieme agli altri condividendo ideali e storia. Ciò non significa elemento di distinzione dal prossimo. Ed è per questo che amo particolarmente il mio lavoro.

E la famiglia? Fondamentale. Senza il grande valore sussidiario della famiglia lo Stato non potrebbe esistere. La voglio mettere in una chiave eminentemente laica: oltre a essere la cinghia di trasmissione delle generazioni, se non esistesse la famiglia dovremmo avere più ospedali, più forze di polizia, più assistenza… Lo dico con una battuta: aumenterebbe il debito pubblico.

Guarda l’intervista video nella sezione Interris tv in home page

 

Angelo Perfetti

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