LA FABBRICA DEI SUICIDI

E’ il numero di morti sul lavoro ad aver trasformato un intero quartiere della Cina nella “Fabbrica dei suicidi”. Si tratta del luogo dove si è insediata una delle aziende produttrici di componenti elettronici più attiva del pianeta. Qui l’esercito degli operai vive sotto la dittatura del capitalismo, migliaia di persone costrette a soddisfare quell’insaziabile fame di innovazione che detta i ritmi del successo nel mondo della tecnologia. E mentre le grandi marche di cellulari, tablet e computer si arricchiscono, un’intera generazione di cinesi si trova a fare i conti con una vera e propria schiavitù.

Negli anni scorsi l’azienda è stata al centro di numerose inchieste e reportage a causa della disumana condizione di lavoro a cui sottoponeva i suoi dipendenti. Un regime che ha silenziosamente ucciso gli operai del settore, molti dei quali per la disperazione hanno preferito togliersi la vita piuttosto che continuare a essere trattati come “prigionieri”.

Sul web ha fatto il giro del mondo il video in cui veniva intervistata una ragazza cinese che per la prima volta vedeva un Ipad, nonostante passasse più di 12 ore al giorno ad assemblarne i pezzi. “Veniamo trattati come macchine, o peggio ancora come animali”, furono le poche parole rivolte al giornalista della Cnn, col quale la giovane ha parlato usando un nome di fantasia visto che la sua azienda vietava ai dipendenti di rilasciare interviste.

Nella fabbrica lei, come tutti i suoi colleghi, ha lavorato, mangiato e dormito, sette giorni su sette senza sosta. Uno schiaffo alla dignità. Ascoltando la sua testimonianza sembra di vivere un déjà vu che riporta alla mente l’esperienza degli operai inglesi durante la prima rivoluzione industriale. Anche in questo caso si tratta di grandi strutture, per la precisione palazzoni di cemento nei quali i lavoratori hanno passato interi mesi senza distinguere il giorno dalla notte se non per quei piccoli squarci di cielo visibili dalle finestre. Ed è proprio da quelle che numerosi dipendenti dell’azienda si sono tolti la vita lanciandosi in un disperato gesto per cercare un’ultima volta la libertà rubata.

Dopo i primi suicidi, l’azienda decise di installare reti di sicurezza e di sbarrare le finestre con delle grate metalliche, un intervento che non fece altro che peggiorare la situazione trasformando la struttura in una prigione senza via d’uscita. La vicenda purtroppo non è nuova, ed è proprio questa la gravità della cosa: nel 2012 entrò nella storia la rivolta degli operai che minacciarono il suicidio di massa se non fossero cambiate le loro condizioni di vita. A questo massiccio atto di ribellione si aggiunse un’inchiesta del New York Times.

Così con le spalle al muro, il colosso dell’informatica decise di venire incontro ai suoi dipendenti; furono i big del settore come Steve Jobs e Tim Cook a mobilitarsi per garantire i diritti degli operai. In questo meccanismo trovano lavoro circa 1,4 milioni di persone e il complesso di Longhua, con i suoi 3,6km quadrati di superficie e oltre 140.000 assunti, è tra i più grandi in assoluto. A quasi tre anni di distanza dalle prime denunce la struttura testimonia un miglioramento che potrebbe far pensare ad un lieto fine, ma si tratta solo di un palliativo per assecondare le lamentele del personale.

Per i lavoratori che soffrono di depressione clinica viene offerta consulenza psichiatrica gratuita e un numero verde disponibile 24 ore su 24. I dormitori sono stati ristrutturati e ora possono ospitare solo 8 persone! Le camerate ritinteggiate e arredate con più grazia restano pur sempre delle stanze all’interno della Fabbrica che costringono gli operai a non uscire mai da quella “prigione”. Fuori sono state allestite delle piscine e una pista di atletica per chi volesse praticare attività sportiva e rilassarsi. Infine, per coronare il progetto, è stata inaugurata tra le mura dell’azienda, un’università che permetterà ai dipendenti più giovani di concludere parallelamente al lavoro i proprio studi. Tutto rimane sempre all’interno di questo mondo tra il reale e il virtuale dove gli operai vivono ancora come polli in batteria. Semplicemente è stata cambiata l’organizzazione della “gabbia”, ma dietro l’apparente benessere continua a celarsi la violazione della libertà umana.