I cittadini meridionali hanno la metà del reddito medio dei loro compatrioti del centro-nord. Un dato che segnala gli affanni di industria, agricoltura, turismo, servizi: una situazione incomprensibile, se si pensa alla cospicua dotazione di fondi provenienti dai massicci investimenti passati, al clima generoso, alla strategica collocazione geografica, ai lasciti in beni culturali, monumentali e archeologici che fanno parte della ricchissima storia del Sud.
Anche i dati più che negativi riguardanti le nascite, segnalano la mancanza totale di fiducia nel futuro.
Insomma, come le sette piaghe dell’Apocalisse di biblica memoria, nessuno ha voluto ascoltare l’avvertimento degli angeli vendicatori (cioè delle analisi d’inefficienza fatte negli anni) e il risultato è che il flagello è spietato e devastante.
Il crac di Gioia Tauro, grande speranza sostenuta da enormi risorse, il degrado della reggia di Caserta come di Pompei, la mai conclusa Salerno-Reggio Calabria, il saccheggio delle risorse di una Sanità che non cura, i bilanci fallimentari degli enti locali e delle municipalizzate, tasse locali più alte che a nord senza servizi, raccontano del fallimento registrato dallo Svimez.
Ma – mi chiedo – può riprendersi il Paese se metà di se stesso è in queste condizioni? Si può pensare che la vicenda economica fallimentare sia slegata dalla concezione che i gestori politici e burocratici hanno del potere? Gran parte dei guai del Sud dipendono proprio da questo; dalla gestione privatistica del potere politico fatta da tanti amministratori di enti locali, e dalla mancata funzione educativa della politica alla democrazia.
Le procedure amministrative, le risorse disponibili sono senza dubbio importanti, ma alla sola condizione del loro buon uso. Sono alimenti salutari per il corpo comunitario, ma possono trasformarsi come driver di avvelenamento attraverso peculati, foraggiamento della cattiva impresa e della cattiva classe dirigente.
Non se ne esce se non si rivede l’impianto eccessivamente autonomistico degli enti locali e dal loro assetto. Le stesse autonomie speciali delle regioni Sicilia e Sardegna devono a mio parere essere fortemente ristrutturate, pena lo sprofondamento totale della loro condizione economica e sociale.
Chi degli operatori esteri e nazionali investirebbe nell’attuale meridione con il monte di incertezze che lo sovrasta? Ecco perché se non si dovesse radicalmente intervenire la situazione non potrà che ulteriormente peggiorare.
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