Un bacino di meraviglie naturali e artistiche, intriso di un’insita pericolosità dovuta alla sua particolare posizione geografica: è il Mar Ionio, la sua parte occidentale nello specifico, il più profondo dei mari italiani e, in un certo senso, il più affascinante se non altro per l’attività endogena da sempre particolarmente intensa in quest’area del Mediterraneo. Movimenti tellurici che, nella storia dell’umanità, hanno contribuito a generare veri e propri disastri naturali come il catastrofico terremoto dello Stretto, nel 1908, o l’altrettanto apocalittico sisma della Val di Noto, nel 1693. E così via a ritroso nella memoria umana alla quale, in virtù di questi eventi, è rimasta una certezza e, allo stesso tempo, un obiettivo: la consapevolezza del rischio sismico nella zona e l’organizzazione di un adeguato programma di monitoraggio che, per quanto possibile, possa aiutare gli organi competenti a individuare tutti quei fenomeni “preannunciatori” della possibilità di verifica di eruzioni vulcaniche o terremoti. Da qui, il progetto “Seismofaults 2017”, nato da un’intesa fra l’Ingv e il Cnr, in collaborazione con l’Università “La Sapienza”. Lo scopo: studiare i fondali marini, le faglie e le principali attività vulcaniche generatrici dei principali disastri, cercando di raccogliere le necessarie informazioni per lo studio dei cosiddetti eventi “anticipatori”.
Otto sismometri e due moduli con sensori geochimici piazzati sul fondo dello Ionio occidentale saranno i principali strumenti per monitorare i movimenti tellurici, più o meno alla profondità di 2600 metri. Inizialmente, i sensori svolgeranno un ruolo di raccoglimento d’informazioni, cercando di definire la natura delle faglie e registrare le quantità di anidride carbonica, ossigeno e metano, tentando di individuare un’eventuale correlazione fra tali emissioni e i terremoti. Buone indicazioni dovrebbero arrivare proprio dal degassamento dei fondali, attraverso il quale gli strumenti abissali potrebbero trarre dati non solo su eventuali attività sismiche ma anche sui sommovimenti franosi delle coste ioniche, cercando di capire se siano o meno correlati a eventuali fenomeni sismici di minore intensità.
In sostanza, l’obiettivo dei tre enti è di riuscire a determinare l’origine degli eventi attraverso uno studio anticipato cercando, per quanto possibile, di fornire uno strumento utile alla prevenzione. Il bacino occidentale del Mar Ionio, in questo senso, ben si presta a questo tipo di analisi trattandosi, come detto, dell’area geografica più interessata da catastrofi naturali. Al termine del loro lavoro in fondo al mare, gli strumenti verranno sganciati dalle loro zavorre e, lentamente, risaliranno in superficie per essere raccolte dai ricercatori, pronti ad analizzare i dati raccolti e, magari, ad avviare un percorso di studio che possa risalire alle cause reali e offrire qualche soluzione di tipo preventivo.
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