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Ecco Blu(e), il primo tablet made in Italy per l’autismo

Capita che la tecnologia, da elemento di intrattenimento, possa trasformai in autentico ausilio per persone in difficoltà. È il caso di Blu(e), un tablet costruito dalla azienda trentina Needius pensato per bambini e ragazzi con un disturbo dello spettro autistico. Il tablet traduce in digitale i quaderni utilizzati nella comunicazione aumentativa alternativa (Caa). La Caa è una serie di tecniche, strategie e tecnologie atte a semplificare ed incrementare la comunicazione nelle persone che hanno difficoltà ad usare i più comuni canali comunicativi, con particolare riguardo il linguaggio orale e la scrittura. Viene definita “aumentativa” in quanto non si limita a sostituire o a proporre nuove modalità comunicative ma, analizzando le competenze del soggetto, indica strategie per incrementare le stesse, ad esempio le vocalizzazioni o il linguaggio verbale esistente, i gesti, nonché i segni.

Blu(e) è un vero e proprio comunicatore digitale che sfrutta la tecnologia della Samsung per offrire ai ragazzi e agli adulti autistici la possibilità di esprimersi attraverso il touchscreen: a ogni simbolo grafico è associata una parola che viene pronunciata dal dispositivo al posto dell’utente. Grazie alla personalizzazione della voce in base all’età e al genere, ben diversa da quella metallica e sintetizzata degli altri comunicatori, si dà vita a una vera e propria conversazione. Il tablet, inoltre, è protetto da un guscio in silicone a prova di rottura. Il pacchetto comprende, oltre all’hardware, anche il servizio di upgrade ed assistenza online per i genitori.

Creare un database globale sui disturbi dello spettro autistico, istituire una rete scientifica ed epidemiologica europea e promuovere l’avvio di Registri nazionali in Italia e negli altri Paesi per monitorare e studiare il fenomeno. Sono questi gli obiettivi che si sono discussi nell’ambito della conferenza Internazionale “Strategic agenda for Autism Spectrum Disorders: a public health and policy perspective” svoltasi il 17 dicembre scorso e patrocinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss). Secondo un’analisi su base europea, non esiste ancora coordinamento tra i pediatri di base, il personale che lavora negli asili nido e le unità di neuropsichiatria infantile. Questo comporta un ritardo nell’età della diagnosi (spesso formulata a 5 anni di età o anche più tardi) e, di conseguenza, un ritardo nell’intervento. Secondo l’Iss, è fondamentale istituire un protocollo multi-osservazionale e programmi di formazione specifici sia per controllare precocemente l’emergere di anomalie comportamentali in neonati-bambini ad alto rischio e nella popolazione generale, sia per fornire una diagnosi provvisoria a 18 mesi e una diagnosi stabile a 24 mesi di età.

Milena Castigli

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