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DEPORTAZIONI IN STILE NAZISTA TRA VENEZUELA E COLOMBIA

Deportazioni, case segnate per essere demolite, violenze anche su cittadini inermi. Non è la lettura di una pagina di storia riguardante il nazismo ma ciò che sta accadendo proprio in questi giorni in Sudamerica. La crisi umanitaria scatenata dalla chiusura della frontiera fra Venezuela e Colombia, infattti, e la deportazione di oltre 1.100 colombiani dal Paese vicino, che ha già compromesso i rapporti bilaterali, potrebbe aggravarsi ancora. La Procura di Bogotà, infatti, sta valutando contro il governo di Nicolas Maduro l’accusa di “crimini di lesa umanità”.

E’ stato lo stesso presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ad evocare la possibilità di un ricorso del suo paese alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, in un duro discorso televisivo nel quale ha paragonato il comportamento del governo di Caracas con quello del Terzo Reich. “Come nei ghetti dei nazisti, le case delle famiglie sono state segnate con una D, per poi demolirle”, ha raccontato Santos, aggiungendo che “all’epoca ci si chiedeva, dov’era il mondo quando è avvenuta questa infamia? Oggi la domanda che ci facciamo è: dov’è la nostra regione?” L’intervento di Santos, infatti, arriva dopo che l’ Organizzazione degli Stati Americani (Osa) si è rifiutata di convocare un vertice per esaminare la crisi e l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasud) ha sostenuto che ogni possibile incontro è impossibile prima della settimana prossima, mentre per Bogotà la situazione alla frontiere deve essere affrontata in modo urgente.
La stampa colombiana ed internazionale ha informato di oltre 1.100 deportazioni di colombiani dal Venezuela, spesso portate a termine con brutalità e accompagnate dalla distruzione delle loro case, mentre organismi privati parlano di oltre 200 bambini separati dalle loro famiglie dopo le espulsioni. Uno schiaffo all’indifferenza dei Paesi limitrofi.

Da Caracas, però, il governo nega tutto e sostiene che si tratta di “volgari bugie”, come ha ribadito il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, secondo il quale non vi è stato alcun abuso nell’ “espulsione di stranieri irregolari” e la chiusura della frontiera è stata decisa per combattere contro “il contrabbando e i paramilitari che infestano la zona”, con l’obiettivo di destabilizzare il governo. Maduro ha aggiunto che dalla Colombia non solo si organizza la “guerra economica” – a suo avviso responsabile della grave crisi che attraversa il Venezuela – ma sono anche in preparazioni complotti per ucciderlo, “con il permesso del governo di Santos”.

Il presidente colombiano ha respinto queste accuse, definendole “assurde e fuori dalla realtà”, e ha aggiunto: “Come si può dire che una povera anziana deportata è colpevole della scarsità di prodotti di base di cui soffre il popolo venezuelano?” Santos ha dunque annunciato che il suo governo farà ricorso alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (Cidh) e le agenzie della Onu, come l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni e l’Alto Commissario per i Diritti Umani.

Una prima risposta è già arrivata: il segretario della Cidh, Emilio Alvarez, si è detto “molto preoccupato” dalla situazione e ha chiesto al Venezuela di “sospendere le sue attività alla frontiera, per creare condizioni che permettano di proteggere i diritti dei colombiani che vivono nella zona”.

Maduro, però, ha subito risposto dalla Cina – dove si trova in visita ufficiale – che è il governo colombiano che deve recuperare il buonsenso e far cessare “la campagna di odio dei media, nei quali si inneggia pubblicamente alla mia uccisione” e nella quale “la vittima diventa il boia, e il boia la vittima”.

Angelo Perfetti

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