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AAA CERCANSI CADAVERI

In Italia siamo abituati a tutto. Mancano le infrastrutture, i soldi, servizi sociali degni di questo nome, case popolari per i meno abbienti, il lavoro, un senso civico diffuso e così via. Ma quella dei cadaveri per le ricerche universitarie è una carenza che nessuno, nemmeno il più avveduto cittadino, poteva immaginare. E invece è così. La denuncia è arrivata nel corso della conferenza stampa a margine della presentazione del XV Meeting della Federazione mondiale delle società di Neurochirurgia (Wfns) che si svolgerà a Roma dall’8 al 12 settembre. Un guaio per professori e studenti che non hanno “preparati anatomici” (questo il nome tecnico, e anche un po’ cinico, col quale vengono chiamate le salme) su cui esercitarsi. Ma se la scienza non può fermarsi come si risolve il gap? Acquistando i corpi dall’estero a costi da record. Per una testa, che insieme alla colonna vertebrale è la parte su cui i neurochirurghi lavorano, servono 10 mila euro. E se l’Ateneo è pubblico indovinate da dove vengono questi soldi? Dalle nostre tasche.

Ma per una volta, almeno a sentire quanto hanno affermato i docenti intervenuti, la colpa non è dello Stato. Nel nostro Paese, infatti, manca la cultura della donazione dei cadaveri alla ricerca. Un contributo difficile da digerire ma che potrebbe facilitare il raggiungimento di risultati importanti da un punto di vista medico. Basti pensare che in una città come Torino, mediamente, alle università arriva un corpo all’anno. Uno schiaffo alle esigenze dei camici bianchi. Proprio per questo, la Società italiana di Neurochirurgia (SINch) sta pensando ad una campagna di sensibilizzazione su questo tema. “In Italia la donazione del corpo è ammessa- ha spiegato il professor Roberto Delfini, past-president della SINch – ma nel nostro Paese questo tipo di cultura non esiste e non è diffusa. L’Istituto di anatomia della Sapienza di Roma, per esempio, riceve uno o due corpi l’anno, con i quali non è possibile però organizzare nessun tipo di corso”.

Per l’esercitazione dei neurochirurghi italiani, ha aggiunto, ci sarebbe bisogno di “una decina di cadaveri per ciascun centro; così, calcolando che in Italia i centri di specializzazione sono 25, in totale ne servirebbero 250”. Come fa oggi, allora, un neurochirurgo a fare pratica? “Per prepararsi- ha risposto Delfino ai giornalisti- o partecipa a corsi organizzati da centri specializzati, che sono comunque obbligati ad acquistare i preparati anatomici all’estero, con quote non trascurabili, oppure se ne va all’estero, dove però deve sostenere, oltre ai costi di iscrizione ai corsi, anche quelli di permanenza”.

Del resto, ha proseguito, “l’esercitazione su preparati anatomici è fondamentale” ma in Italia  mancano i Centri di anatomia chirurgica che dovrebbero occuparsi proprio di mettere a disposizione degli specialisti il materiale con cui esercitarsi”. Anche il Comitato nazionale di bioetica ha recentemente sottolineato la mancanza di una legge ‘ad hoc’ sulla donazione. Oggi l’unica strada in Italia è l’espressione di una chiara volontà in vita con un atto sottoscritto e consegnato a una struttura universitaria. Fuori dai nostri confini, viceversa, la situazione è assolutamente diversa e ci sono più donazioni”. Forse è vero che, da queste parti, risparmiamo proprio su tutto…

Luca La Mantia

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