Nessuno è straniero nella Chiesa

Il fenomeno della mobilità umana è stato sempre al centro della sollecitudine pastorale da parte della Santa Sede, con interventi mirati “sia ad approfondire l’analisi e l’interpretazione di questa mutevole realtà sociale (in termini biblici definita anche segno dei tempi), sia ad individuare proposte pastorali aggiornate e adeguate ai cambiamenti, con l’obiettivo di tutelare i valori umano-cristiani dei migranti, da un lato, e di promuovere una rispettosa e autentica accoglienza dello straniero e del suo patrimonio socio-culturale e religioso, dall’altro”.

Questa missione fondamentale trova una continua eco nella vita e negli insegnamenti del Magistero: nessuno è straniero nella Chiesa ed essa non è straniera a nessuno, in alcun luogo. Come sacramento di unità, e quindi come segno e forza di unione per l’intero genere umano, la Chiesa è il luogo in cui i migranti sono riconosciuti e accettati come fratelli e sorelle, qualunque sia il loro status legale, per varie ragioni. Tutti possono trovare un’accoglienza cordiale e fraterna nella comunità cristiana, e questa solidarietà comporta delle responsabilità nei confronti di chi è in difficoltà. Perciò la Chiesa, senza fare distinzioni di etnia, cultura o provenienza, accoglie ciascuno con gioia, carità e speranza. Lo fa con una particolare attenzione a quanti si trovano – indipendentemente dai motivi – in situazioni di povertà, emarginazione ed esclusione.

Negli ultimi decenni, in particolare dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa si interpella vivamente e in profondità a partire dalla prospettiva che rinviene nella migrazione un “locus theologicus”, un segno dei tempi divenendo così la migrazione fonte ispiratrice del fare teologia, non soltanto oggetto d’assistenza o sfida missionaria. Cerchiamo di vedere, in breve, il percorso e la presa di coscienza della Chiesa Cattolica in merito al tema della migrazione, soprattutto nel periodo che va dal Concilio Vaticano II ad oggi. È proprio in questo arco di tempo, infatti, che la Chiesa ha progredito nello studio e nella riflessione circa il fenomeno migratorio. Un merito particolare va, in questo senso, al beato Giovanni Battista Scalabrini che nel 1887 ha fondato la Congregazione dei Missionari di san Carlo Borromeo, più conosciuti come Scalabriniani, per la cura pastorale e spirituale degli emigrati italiani.

Nella seconda metà del 1800, infatti, si verificarono, perla prima volta nella storia, ingenti flussi migratori “che provocarono autentici esodi continentali e transoceanici”. I migranti cattolici, in particolare, che avevano lasciato l’Europa per cercare condizioni di vita migliore soprattutto negli Stati Uniti d’America, in America Latina e Australia, inviavano insistenti suppliche al Papa, manifestando il loro stato di smarrimento e di abbandono.

Pertanto il decennio tra il 1880 e il 1890 costituì il periodo più fecondo per il dibattito e il sorgere di iniziative a favore dei migranti. Fu in tale contesto che la Chiesa ha trovato una valida e profetica risposta nella particolare sensibilità di tanti uomini e donne, come, tra i tanti, Vincenzo Pallotti, Giovanni Bosco, Francesca Saverio Cabrini e Giovanni Battista Scalabrini.

Proprio quest’ultimo merita un’attenzione particolare. Alla sua intuizione, quella cioè di istituire un organismo centrale e unitario per l’assistenza ai migranti di ogni nazionalità, infatti, è indirizzata la lettera Libenter agnovimus (1887) e Quam aerumnosa (1888). Al numero 2 della Regola di Vita della nuova nascente Congregazione si legge: “farci migranti con i migranti, per edificare con essi, anche mediante la testimonianza della nostra vita e della nostra comunità, la Chiesa, che nel suo pellegrinaggio terreno si accompagna specialmente alle classi più povere e abbandonate; aiutare inoltre gli uomini a scoprire Cristo nei fratelli migranti e a cogliere nelle migrazioni un segno della vocazione eterna dell’uomo”.

La visione e la scelta di Scalabrini si sono rivelate profetiche e hanno permesso alla Chiesa di proseguire il cammino di discernimento di questo “segno dei tempi”, il quale ha visto una realizzazione concreta, subito dopo il Concilio Vaticano II. L’influsso di Scalabrini portò alla costituzione dell’“Ufficio per la Cura Spirituale degli Emigranti”, presso la Congregazione Concistoriale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1952, fu poi istituito da Pio XII il “Consiglio Superiore per l’emigrazione” presso la stessa Congregazione, ora denominata Congregazione per i Vescovi. Nello stesso anno, e sempre presso lo stesso Dicastero, fu istituita l’”Opera dell’Apostolatus Maris” a favore dei marittimi. Nel 1958 lo stesso Pio XII affidò quindi alla medesima Congregazione il compito di provvedere all’assistenza spirituale dei fedeli con specifiche mansioni o attività a bordo degli aerei, nonché dei passeggeri che viaggiano con tali mezzi di trasporto; a dette istituzione si diede il nome di “Opera dell’Apostolatus Coeli o Aëris”. Nel 1965 fu Paolo VI, invece, a fondare, sempre presso la Congregazione Concistoriale, il “Segretariato Internazionale per la direzione dell’Opera dell’Apostolatus Nomadum”, nell’intento di recare spirituale conforto alle persone senza fissa dimora. Nel 1967 pure la Congregazione per il Clero fu dotata di un Ufficio che doveva garantire l’assistenza religiosa a tutte quelle persone che rientrano nell’ambito del fenomeno turistico.

Ma con il Motu Proprio Apostolicae Caritatis del19 marzo 1970, di Paolo VI, le competenze per i vari Settori della mobilità umana furono fatte confluire nella “Pontificia Commissio de Spirituali Migratorum atque Itinerantium Cura” ed essa veniva posta alle dipendenze della Congregazione per i Vescovi. Tale situazione è venuta a cessare con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus, del 28 giugno 1988, che anche ne mutò il nome in Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e Itineranti.

Infine, con il Motu Proprio Humanam Progressionem del 17 agosto 2016 Papa Francesco ha disposto la soppressione del Pontificio Consiglio creando il nuovo Dicastero per il servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Una delle novità assolute di questo Dicastero viene espressa al capitolo 1, §4: “una Sezione del Dicastero si occupa specificamente di quanto concerne i profughi e migranti. Questa sezione è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice che la esercita nei modi che ritiene opportuni”. È la prima volta nella storia che un Papa si occupa in maniera diretta ed esplicita del fenomeno migratorio: un tema molto caro a Francesco, che è divenuto uno dei principali segni dei tempi della nostra epoca.

La maggior parte dei migranti fugge da condizioni indicibili di povertà, di ingiustizie sociali, di violenza, di corruzione e di abbandono. Si tratta di persone costrette a lasciare la famiglia, la casa, gli affetti, per ricercare una terra e una società migliore dove vivere e, al contempo, nella speranza di potersi riunire presto con i propri cari. L’analisi sociologica e fenomenologica della migrazione ne mette in rilievo le odierne caratteristiche che ne denunciano le profonde radici sociali, politiche, economiche e, in definitiva, antropologiche, come evidenzia l’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco. Il momento storico che stiamo vivendo spinge e provoca a rileggere in ottica teologica il fenomeno della migrazione alla luce della storia della salvezza attestata dalla Sacra Scrittura per coglierne il significato e la sfida e per aprirsi così a ciò che, anche attraverso questo fenomeno odierno di inedite proporzioni e di portata epocale, “lo Spirito dice alle Chiese”.