QUATTRO ITALIANI RAPITI IN LIBIA

La Farnesina informa che quattro italiani sono stati rapiti in Libia nei pressi del compound dell’Eni nella  zona di Mellitah. Si tratta di dipendenti della società di costruzioni Bonatti. L’Unità di Crisi si è immediatamente attivata per seguire il caso ed è in contatto costante con le famiglie dei connazionali
e con la ditta Bonatti. Come noto in seguito alla chiusura dell’ambasciata d’Italia in Libia il 15 febbraio, la Farnesina aveva segnalato la situazione di estrema difficoltà del Paese invitando tutti i
connazionali a lasciare la Libia.

I rapitori dei quattro cittadini italiani, sono elementi vicini al cosiddetto “Jeish al Qabail” (l’esercito delle tribu’), le milizie tribali della zona ostili a quelle di “Alba della Libia” (Fajr) di Tripoli. Secondo quanto riferisce l’inviato dell’emittente televisiva “al Jazeera”, che cita fonti militari di Tripoli, i quattro italiani sono stati rapiti in una zona che fino a poco tempo fa era teatro di scontri e che solo di recente nella quale le armi tacciono dopo la tregua sottoscritta dalle milizie tribali e da quelle di Alba della Libia.

Secondo quanto riferiscono queste fonti, i quattro sono stati rapiti infatti nel villaggio di al Tawileh, vicino Mellitah, e sono stati portati verso sud. Il sequestro e’ statp compiuto nei pressi del compound dell’Eni e i quattro sono dipendenti della societa’ di costruzioni Bonatti.

“Tutti gli italiani erano stati preavvertiti, chiusa l’ambasciata a Tripoli e spiegato ai connazionali che il rischio che si sarebbero assunti andando in Libia sarebbe stato sulle loro spalle perché lo Stato non poteva
garantire nessuna tutela”. Lo ha detto Pier Ferdinando Casini, senatore di Area Popolare e presidente della Commissione Affari Esteri di Palazzo Madama, intervenendo ad Agorà (Rai3).

“Il problema libico tutti lo conoscono – ha aggiunto – non c’è una statualità, ci sono tribù ed entità regionali, uno pseudo stato a Tobruk che controlla un quarto del territorio nazionale, ed è chiaro che in questa situazione nessuno può essere tutelato”. “Gli italiani coinvolti sono dei lavoratori e una cosa va detta: azioni di recupero di connazionali in condizioni analoghe a questa sono avvenute anche recentemente.
L’importante – ha concluso Casini – è consentire alla Farnesina di lavorare nel massimo riserbo perché in questi casi le pubblicità danneggiano chi è coinvolto. Confidiamo in un’azione di salvezza per questi lavoratori”.

Mellitah è una località a 60 km da Tripoli, sede della stazione di compressione del gas libico, da dove si diparte “Greenstream”, il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, sui cui
fondali, per una lunghezza di 520 km, si posa fino a raggiungere una profondità che supera i 1.100 metri. Il gasdotto, realizzato nei primi anni del 2000, approda al terminale di Gela, in Sicilia, sulla spiaggia a est della raffineria che l’Eni ha chiuso per riconvertirla a centro di produzione di biocarburanti. Fornisce all’Europa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno: due miliardi per l’Italia e il resto per gli altri paesi, in prevalenza la Francia.

Greenstream appartiene a una società mista composta da Eni e dall’agenzia petrolifera libica National Oil Corporation (Noc)  ed è uno dei due metanodotti che collegano l’Italia al Nordafrica (l’altro è il gasdotto con l’Algeria). Dopo la caduta di Gheddafi, gruppi armati, tribù e bande si contendono il controllo delle fonti energetiche. Dall’inizio del conflitto libico, per due volte l’Eni ha deciso di fermare il gasdotto e fare rientrare il proprio personale in Italia.

“Stiamo lavorando con l’intelligence” per ottenere maggiori informazioni sugli italiani rapiti in Libia”, ha detto il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, precisando che “nella notte abbiamo avvisato la
famiglia”. Parlando degli autori del rapimento, Gentiloni ha detto che “è sempre difficile dopo poche ore capire natura e responsabili”, ma si tratta una “zona in cui ci sono dei precedenti e dobbiamo concentrarci per ottenere informazioni sul terreno”.