PENSIONI, UNO SCHIAFFO AI TECNICI

La sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco degli adeguamenti pensionistici è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, dunque tecnicamente è efficace. Un “buco” che costerà all’Italia oltre 16,6 miliardi di euro, come chiarisce uno studio della Cgia di Mestre sull’importo complessivo che l’Inps rischia di restituire ai 5 milioni di italiani che hanno subito il mancato adeguamento Istat disposto dal governo Monti con il “Salva Italia”.

Un fatto che, prima ancora che giuridico, è politico e sociale al contempo. Il blocco predisposto dalla Fornero nel 2012-2013 ha interessato i pensionati che percepiscono un assegno mensile netto superiore a 1.088 euro. E ancora è viva nella memoria la scena nella quale, in conferenza stampa, il ministro non riuscì a pronunciare la parola “sacrifici”; tutte le lettere morirono in gola dopo le prime due, ed Elsa Fornero scoppiò in lacrime. Ci pensò il professor Monti a toglierla dall’imbarazzo, con un sorriso gelido: “…interpretare il sacrificio così efficacemente trasmesso dal ministro Fornero riguarda la deindicizzazione delle pensioni”.

Ora, a distanza di anni, la sentenza della Consulta più che bocciare una legge demolisce un principio: quello per il quale i “tecnici” sono migliori dei “politici”. Certo, quest’ultimi hanno guadagnato la disistima di gran parte del Paese, ma la politica in senso lato, quella delle grandi scelte, non può essere sostituita così facilmente. La decisione della Corte Costituzionale è certamente uno schiaffo alla mitizzazione della società civile applicata alla gestione dello Stato.

Fior di professori sono riusciti nell’intento di fallire su tutto: sul tessuto sociale, rimasto sconcertato dalle decisioni prese, sul piano giuridico, vista la bocciatura senza appello, e su quello finanziario, dato che ora si apre un delicato fronte rispetto ai rimborsi.

Evento sul quale già si è innescata una nuova battaglia tra il governo e il resto del Parlamento. Per Renzi la restituzione potrebbe essere limitata alle fasce più basse. Se, ad esempio, si decidesse di fissare i rimborsi per i redditi mensili lordi tra 1.500 euro e 2.500 euro circa, i pensionati ad esserne interessati sarebbero 4,3 milioni (sui 6 milioni circa che sono stati coinvolti dal blocco della perequazione).
“Nessuna decisione presa”, è il leit motiv che rimbalza da un palazzo all’altro del governo, che è alla ricerca di una soluzione che tenga insieme il rispetto delle indicazioni della Corte – anche per evitare di incappare in nuovi stop in futuro – e la tenuta della finanza pubblica, sempre sotto la lente Ue, messa a dura prova da un ‘conto’ che dovrebbe attestarsi, al netto, attorno ai 9-10 miliardi.

L’unica certezza, al momento, è che la sentenza è “autoapplicativa”, come spiegano giuristi e fonti vicine alla Consulta stessa. Il che significa che non ci sarà bisogno di fare ricorso per ottenere il rimborso del mancato adeguamento all’inflazione.

Alla base di tutto c’è un problema giuridico da sciogliere: di che natura siano le somme non corrisposte ai pensionati e se non siano del tutto assimilabili allo stipendio (la sentenza parla di “retribuzione differita”) e in quanto tale intangibili. E bisogna capire se non restituire queste somme a una parte dei pensionati, attraverso un provvedimento emesso dopo la sentenza della Consulta, non esponga ad altri rischi di ricorsi e pronunce di incostituzionalità.

Peraltro non erogare il pregresso a chi percepisce pensioni alte, osservano alcuni, non risolverebbe il problema dell’impatto sui conti, visto che la maggior parte dei pensionati che non hanno avuto l’adeguamento Inps in questi anni si colloca nella fascia tra 3 e 5 volte il minimo. Una delle ipotesi al vaglio resta però quella di agire per scaglioni, sulla falsariga della norma Letta attualmente in vigore. Ma c’è anche chi caldeggia la soluzione precedente al Salva Italia, che agiva sulle fasce, più progressiva ma anche più onerosa. In pista resterebbe comunque anche l’idea di un intervento, un decreto, per differire l’entrata in vigore, e quindi gli effetti, della sentenza della Corte, e avere così più tempo per mettere a punto un meccanismo che sventi il rischio di nuove azioni legali.

A complicare ulteriormente un quadro già caotico starebbe per arrivare poi, secondo indiscrezioni, una bocciatura da Bruxelles dell’estensione dell’inversione contabile dell’Iva alla grande distribuzione. Misura che vale 700 milioni di euro e che prevede, in caso di stop Ue, una clausola di salvaguardia equivalente sulle accise. “La sentenza della Consulta in materia di pensioni parla chiaro ma il governo preferisce fare orecchie da mercante. Non si capisce perché e a quale titolo – attacca la Lega – ma forse non lo sanno nemmeno loro, Renzi e il ministro dell’Economia hanno deciso, del tutto arbitrariamente, che sia impossibile restituire a tutti gli interessati l’indicizzazione delle pensioni e che la soglia minima al di sotto della quale è giusto rimborsare debba essere sotto i 5mila euro. Se il tesoretto – prosegue – tanto decantato dal premier esistesse davvero dovrebbe essere utilizzato per questo motivo”.