Welfare e rigore nei conti degli enti locali

[cml_media_alt id='8083']cerrito[/cml_media_alt]
Pietro Cerrito, Segretario Confederale Cisl – Dipartimento politiche sociali
I numeri non mentono: la spesa sociale negli enti locali scende al ritmo del 2,5% ogni quattro anni, invece a livello centrale i tagli sono rappresentati da percentuali a due cifre. I Fondi nazionali per gli interventi sociali distribuiti alle Regioni per i servizi del territorio, infatti, sono diminuiti passando dagli oltre 3 miliardi del 2008 ai 229 milioni del 2012 con un’inversione solo nell’ultimo biennio (quest’anno circa 1 miliardo). Anche il Fondo per le politiche sociali arretra dal miliardo e mezzo del 2008 fin quasi a zero (10 milioni) nel 2012, per risalire poi a circa 300 milioni quest’anno. In sostanza, secondo i dati elaborati dal dipartimento politiche sociali della Cisl, anche i prossimi due anni saranno di magra: la previsione nei fondi strutturali per il sociale per il 2015 è di appena 294 milioni e nel 2016 ancora meno, 194 milioni.

Pure se si volge lo sguardo al passato dei Comuni non si vedono felici sorprese, al massimo qualche sindaco o governatore illuminato che sul sociale ha scelto di metterci la faccia. Anche perché è la diseguaglianza il “mostro” con cui le famiglie devono quotidianamente confrontarsi. La spesa sociale dei Comuni – circa il 15% del totale – è infatti sempre più al ribasso, calata del 2,5% tra il 2009 ed il 2012, e si attesta intorno ai 7 miliardi e 700 milioni nel 2012 (con punte di riduzione di un quarto in Calabria e di un quinto in Campania). Cioè meno di 130 euro all’anno per ogni cittadino. La spesa sociale, però, diminuisce nonostante un lieve aumento nel quadriennio della spesa corrente totale. Così, secondo l’indice di propensione al sociale pensato dalla Cisl (è pari al rapporto tra spesa complessiva e spesa sociale), i Comuni hanno ridotto la loro quota di spesa per il welfare passando dal 15,4% delle uscite comunali dell’anno 2009 al 14,7% del 2012. Pur a fronte di una spesa complessiva diminuita in quegli anni del 4,4%.

Ma le conclusioni a cui si arriva sono anche altre. A metterle a sistema Emanuele Padovani, docente di Public management all’università di Bologna, tra gli esperti che hanno spulciato i bilanci comunali. Alla fine della sua analisi sui conti degli enti locali perciò, sottolinea, che “dove c’è maggiore attenzione al welfare locale generalmente si è in presenza di buona salute finanziaria”, anche se non c’è, in linea di principio, un’incompatibilità tra più welfare e conti in rosso. Così le amministrazioni in buona salute finanziaria sono anche quelle che hanno più alta propensione al sociale (1126), come le altrettante che hanno bilanci in rosso (1128) mostrano una bassa propensione al sociale. Ovviamente si può discutere se il rapporto di causa-effetto sia in una direzione (più rigore, allora più welfare) o nell’altra (più welfare, allora più rigore). Forse, più probabilmente, ipotizza il docente bolognese, “vi sono altre cause che generano contemporaneamente più welfare e più rigore di bilancio”. Tuttavia è evidente che non solo non c’è inconciliabilità fra i due elementi che spesso, nella vulgata politica e popolare, sono messi in contrapposizione. “Anzi, il rigore di bilancio – conclude – sembra un elemento compresente nelle situazioni virtuose dal punto di vista di attenzione al welfare”.

Buoni e cattivi. Per una volta, però, non c’è la solita dicotomia nord-sud, ma nella lista dei territori più virtuosi, ad esempio, spicca la Puglia, l’unica regione che negli ultimi anni ha fatto salire nei bilanci dei suoi Comuni in maniera sostanziosa – oltre il 14% – la spesa per il sociale. Ad un trend medio in discesa di quasi un punto percentuale annuo delle risorse impegnate dai Comuni per i bisogni di famiglie e anziani, tuttavia, si ritrova la tradizionale composizione a macchia di leopardo con picchi fino a -26,6 per la Calabria e -19% per la Campania. Andamenti in controtendenza nelle regioni, oltre la Puglia già ricordata, anche nel Lazio (+9,9%), in Friuli-Venezia Giulia (+8,3%) e in Sardegna (+4%). Inoltre, persino territori considerati tra i migliori per i servizi in Italia, come la Lombardia, hanno visto scendere la spesa per il sociale in 4 anni (2009-2012) del 5,5%. In linea di massima, comunque, la maggior parte dei Comuni del sud spendono meno in sociale; infatti in Molise, Calabria, Basilicata e Campania la propensione al sociale resta sempre sotto l’8%. Non è difficile però trovare, va precisato, Comuni in tutte le aree geografiche grande variabilità di attenzione al sociale.

A voler generalizzare, si può dire che i Comuni sotto i 15mila abitanti hanno una minor propensione al sociale (13,8% quelli fino a 15mila, ma soprattutto quelli sotto i 5mila soltanto all’8,2%). La scarsa considerazione al sociale dei micro enti viene spiegata – nell’analisi sui bilanci pubblici di Emanuele Padovani – dal fatto che le poche risorse sono assorbite più dai costi per far funzionare la macchina comunale che dai servizi diretti alla collettività. L’andamento complessivo? Calo generalizzato dalle Alpi all’Etna. Il nord-est tuttavia, anche se con un trend negativo, si conferma leader di allocazione della spesa per il sociale (18% nel 2012), sostenuto dal Friuli-Venezia Giulia (26,4%) e dall’Emilia-Romagna (18,9%); altre regioni che figurano sul podio al di fuori del nord-est sono invece la Sardegna (26,4%), la Lombardia (16,7%) e le Marche (16,1%).

Pietro Cerrito
Segretario Confederale Cisl
Dipartimento politiche sociali