«Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe»
«Rogāte ergo Domĭnum messis, ut mittat operarĭos in messem suam»
XIV Settimana del tempo ordinario – Mt 9,32-38
In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è
mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando
nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore (1 Re 22, 17). Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Le folle sono come pecore senza pastore, impossibilitate perciò ad andare al pascolo, destinate piuttosto al macello. Città e villaggi sono piene di malati ed infermi, muti ed indemoniati. Rispetto ad uno spettacolo simile, è conseguente che ci sia bisogno di tanti operai che vengano ad annunciare il vangelo del Regno, a guarire e liberare il popolo. Tuttavia quel che stupisce è che questo popolo stanco e sfinito, al quale è urgente inviare
operai, sia definito una «messe»: come a dire, il campo è maturo; non c’è da seminare, né da diserbare e ripulire, ma solo da raccogliere il grano già pronto. E questo raccolto è la messe del Signore! È bello: l’umanità, con le sue piaghe e le sue miserie, è preziosa agli occhi di Dio (Is 43,4), è un campo già maturo! Basterebbe l’annuncio del vangelo – che abbiamo per Dio un Padre che ci ama – per fare fiorire e liberare tutto il buono che c’è in
ciascuno: siamo davvero a sua immagine (Gn 1,26-27)! Che il Signore mandi operai, che ci ricordino qual è la nostra verità e ci facciano diventare ciò che siamo: figli di Dio, liberi e vivi (1 Gv 3,1).
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