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La Roma dei due Fonseca

E ora dateci anche Balbo“. Su web e radio locali l'ironia si spreca a pochi minuti dall'annuncio del nuovo allenatore della Roma: Paulo Fonseca. Fonseca come Daniel, seconda punta di metà anni 90 dalla classe sopraffina ma dai muscoli fragili, con cui condivide il cognome, qualcosa nel volto e nell'incarnato ma non le origini: uruguagio l'ex attaccante giallorosso, portoghese il mister. 

Altra epoca

Basta la parziale omonimia per dare voce alla nostalgia di un calcio diverso ma che stava già cambiando. Casualità, l'arrivo di Fonseca alla corte di Carletto Mazzone – per la cifra record (ai tempi) di 17,5 miliardi di lire più il cartellino di Benny Carbone (valutato 7,5) – avviene all'inizio dell'ultima stagione ('94-'95) delle maglie non personalizzate, con numero fisso e nome. Non lo sapevamo ma era appena cominciata la rivoluzione del merchandising, dei diritti d'immagine, delle sponsorizzazioni tv e compagnia cantando. Il calcio moderno, insomma. Ma i tifosi in festa che accolsero l'ex stella di Cagliari e Napoli, ovviamente, non potevano immaginarlo. Franco Sensi sedò così i bagliori di una contestazione che, anno dello scudetto a parte, lo avrebbe accompagnato lungo tutto il corso della sua presidenza. “Ho dato a Mazzone una Ferrari” disse dopo la campagna acquisti che rivoluzionò la rosa giallorossa, ponendo fine al lungo ciclo di calciatori ingaggiati dall'ultimo Dino Viola e da Giuseppe Ciarrapico.  

La coppia

Con Abel Balbo, italo-argentino giunto l'anno precedente dall'Udinese, Fonseca costruì il tandem perfetto: classe e potenza, fantasia e cattiveria, velocità e cinismo. L'intesa fu tale che non mancò chi la definì la “coppia più bella del mondo“, paragonandola, niente di meno, alla Romario-Stoichkov del Barcellona di Cruijff, il duo più in voga in quegli anni. Per la prima volta la Roma si ritrovò per le mani un fenomeno esportabile nel resto d'Italia, come dimostrarono le geniali imitazioni di Fonseca messe in scena da Teo Teocoli a “Mai dire Gol”. L'accoppiata funzionò però bene solo il primo anno, raggiungendo il bottino di 30 gol in campionato (22 Balbo e 8 Fonseca) promesso ai tifosi a inizio stagione. In seguito, complici i numerosi infortuni muscolari subiti dall'uruguaiano, Balbo trovò nel giovane Francesco Totti un compagno ancor più funzionale. La storia finì nel '97 con il trasferimento di Fonseca alla Juve, dove cominciò l'inevitabile parabola discendente di un potenziale “crac” mai veramente sbocciato. 

Nuovo ciclo

Oggi la Roma riparte da un altro Fonseca (già ribattezzato “Zorro”) in un'epoca profondamente diversa. Non più “campioni” ma “top player“, non più vertici dirigenziali ma “conference call” transoceaniche, non più “allenatore” ma “responsabile tecnico” e, per i tifosi, nemmeno più l'emozione di assieparsi nei ditorni di Trigoria per avere notizie sull'annuncio ufficiale a farsi firmare i primi autografi. Tutto è già avvenuto fra Londra e Boston, veri centri di potere della Roma americana. Dopo il doloroso addio di Daniele De Rossi e in assenza di Francesco Totti, ormai sempre più ai margini del progetto del duo Baldini-Pallotta. Logico, allora, che ci si attacchi alle nostalgie e alle ironie. A quel poco che resta di romanità e romanismo in una piazza disillusa. E che sopravviva almeno la speranza che “Zorro” Fonseca faccia giustizia di tanti anni di alibi e promesse non mantenute.   

 

Luca La Mantia

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